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I Tribunali delle imprese

Con il maxiemendamento al Decreto Legge. n. 1/2012 il Governo ha inserito l'art. 2 dedicato al Tribunale delle imprese. Le sezioni specializzate fino ad oggi competenti in materia di proprietà industriale e intellettuale saranno d’ora in avanti competenti in materia di “impresa”. Con quali vantaggi e quali criticità per imprese e cittadini?

di Cristiano Alliney

Non sono ancora del tutto chiare la portata e le conseguenze del decreto legge che ha istituito i “Tribunali delle imprese”, ma già gli industrialisti -e i loro clienti più avveduti- si preparano al peggio, perché una cosa è certa: la “litigation” in tema di diritto industriale sarà decisamente più lunga e molto più cara.

L'articolo 2 del Decreto-Legge 1 del 2012, in tema di “deregulation”, è intervenuto infatti sulle Sezioni Specializzate in Proprietà Intellettuale, trasformandole in "Tribunali delle imprese" e attribuendo loro una competenza funzionale molto estesa  (forse troppo estesa)  che si aggiunge alla competenza su marchi, disegni e brevetti, ai segreti industriali, alla concorrenza sleale e alle questioni di diritto d’autore e contiene una pluralità di materie diverse che vanno dalle azioni collettive di risarcimento (class action), alle principali controversie aziendali.

Senza entrare nel dettaglio del decreto e limitandomi a citare le innovazioni più significative le sezioni specializzate sono diventate oggi competenti in materia di:

a) “Class-action” ex articolo 140-bis decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206;

b) cause tra soci e società, comprese quelle in cui la qualità di socio è oggetto di controversia;

c) cause relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti;

d) cause di impugnazione di deliberazioni e decisioni di organi sociali;

e) cause in materia di patti parasociali;

f) cause contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari;

g) cause relative a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria, quando sussista la giurisdizione del giudice ordinario».

Ho tralasciato altri casi di competenza funzionale meno significativi, ma questa serie di nuove e specifiche attribuzioni, unita alla duplicazione dei costi (il contributo unificato per iscrivere una causa al ruolo è stato infatti raddoppiato, e, nella prima stesura governativa era stato quadruplicato) e alla presa di posizione del Governo, che ha annunciato di non poter ampliare gli organici, non può che destare una certa preoccupazione in merito al futuro del contenzioso industriale in Italia.

Fino ad  oggi, infatti, le sezioni specializzate in Italia in tema di proprietà intellettuale riuscivano a produrre sentenze con dei tempi relativamente più veloci rispetto a quelli delle sezioni ordinarie: mediamente  in primo grado la durata media di un procedimento era di circa 780 giorni, contro i 960 dei tribunali ordinari; mentre in appello si registravano i quasi “accettabili” 1.450 giorni di media contro i 1.509 dei Tribunali ordinari.  Ma ora il numero -e soprattutto la complessità- delle cause al ruolo dei giudici dei “Tribunali delle imprese” impedirà di mantenere un passo più veloce rispetto ai Tribunali ordinari.

Si pensi solo all’importanza che avranno le grandi “Class-action” (che tra l’altro di risarcimento danni essendo sono tutte e solo di pura materia civilistica e tanto meglio sarebbero state in un Tribunale  ordinario) nel sistema, o alla delicatezza giuridica delle cause vertenti su appalti, o al numero esorbitante di contenziosi inerenti alla impugnazione di deliberazioni e decisioni di organi sociali.

Pare evidente che questi nuovi tribunali possano essere portati ad implodere, in considerazione di un crescente numero di procedimenti, tra l’altro molto delicati per la natura o per il petitum, al quale non farà  da contraltare un aumento degli organici. Su questo punto anche il Consiglio Nazionale Forense settimane fa ha diramato un comunicato nel quale ha dichiarato che “la distrazione di magistrati presso i tribunali delle imprese impoverirà ulteriormente le dotazioni organiche degli uffici giudiziari, dato che il provvedimento non destina risorse aggiuntive”.  Il Consiglio ha anche velatamente   criticato il già citato aumento del contributo unificato la cui unica ragione sembra risiedere nel tentativo di  abbattere  la domanda di giustizia facendo leva sui costi, con una violenta compressione del diritto di giustizia, soprattutto per le persone fisiche e le PMI.

Il  vero punto,  forse, è che si continua a  rendere i giudici “specializzati” quasi per incanto.  Quando (nel 2003) si istituirono le sezioni specializzate  si scelse  di risolvere la riforma a colpi di decreto, attribuendo in pratica a una sezione ordinaria di Tribunale  anche la funzione di Sezione Specializzata per la proprietà industriale, da un giorno a un altro. Nella pratica i giudici continuarono a svolgere le solite mansioni, essendo però “specializzati nella materia industriale” quando si occupavano di cause attinenti a questa branca del diritto.

La specializzazione,  invece,  implica delle scelte strategiche e dei costi che vanno bel oltre:  riguarda la formazione,  le strutture,  il continuo aggiornamento dei giudici, nell’ottica di consentire loro di dedicarsi, come ha scritto un brillante collega, “in modo, se non esclusivo, assolutamente prevalente, a una sempre più impegnativa specializzazione, che richiede - a fianco delle tradizionali conoscenze giuridiche - conoscenze in materia di economia, di commercio e prassi internazionali, di linguaggi e ordinamenti diversi dai nostri”.

Ma questo è lontano dalle idee del Legislatore degli ultimi anni e arrivare a una diversa prospettiva  richiederà del tempo, con buona pace delle aziende italiane.

18-4-2012


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Commenti

Commenti

Enzo | 23-4-2012 00:30
Concordo in linea di massima. C’è anche da dire, però, che la nuova legge, tra diverse lacune, ha il grande merito di ridefinire le competenze, in tema di concorrenza sleale, prima ripartite quasi a caso tra sezioni ordinarie e sezioni speciali.

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