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Quando “Matusalemme” è una risorsa chiave per trasferire il know-how

La riscoperta della professionalità in azienda: ripensare al ruolo del lavoratore anziano quale fattore chiave per il mantenimento e lo sviluppo delle capacità competitive.

di Walter Cristelli

Uno dei temi di attualità nella gestione delle aziende riguarda l’evoluzione demografica che comporta una ridefinizione delle politiche di pianificazione delle risorse.
In questo ambito si colloca anche la riscoperta della professionalità. Dopo un periodo difficile nel quale si è usato lo strumento dei prepensionamenti per risolvere la difficile equazione della competitività, scopriamo l’importanza del sapere “applicato”: il saper ricercare, elaborare, diagnosticare, progettare, verificare, saper conoscere metodologie. Ecco quindi che la “aging workforce” si riappropria del ruolo di maestro nei tanti mestieri che continuano a vivere e trasformarsi nelle aziende. Nelle multinazionali si parla di Champion e Tutor per i singoli processi che costruiscono mestieri.

Per la comunità delle risorse umane, la formazione interna torna al primo posto e genera anche integrazione aziendale. I lavoratori maturi beneficiano di interventi di formazione per recuperare gap tecnologici, mentre i nuovi ingressi trovano in azienda, in modo strutturato, la possibilità di imparare il sapere applicato ed anche il saper fare.
La professionalità che è anche personalità torna in agenda specie nelle sue componenti non specialistiche e più gestionali, si riduce il divario oggi esistente fra professionalità previste ed effettivamente erogate in una organizzazione, termina la contrapposizione generazionale e in alcuni casi tornano in azienda i colleghi anziani magari con schemi di lavoro innovativi ma sempre con il nobile incarico di insegnare.
Ci sono infine realtà che sono talmente eccellenti, in questo contesto, da poter aprire le loro scuole interne anche ad altri shareholders dell’azienda fidelizzandoli così maggiormente.
Il benchmark in questo caso è ancora una volta in India dove la Infosys per ogni mille euro di fatturato ne investe sessantacinque nella formazione dei suoi dipendenti cioè dieci volte più della IBM (fonte “La speranza indiana” di Federico Rampini Mondadori editore).

E’ di questi giorni invece la pubblicazione del Rapporto Censis che presenta dati non allettanti in questo ambito. Al 2006, il 6,1% di italiani fra 25 e 64 anni partecipano ad attività formative, meno di Germania e Francia tuttavia attestati sul 7,5% della popolazione; meglio Spagna (10,4%) e Gran Bretagna (26,6%). Quello della formazione resta evidentemente un’attività da finalizzare a obiettivi concreti di rimessa in circolo di particolari figure in difficoltà nel mercato del lavoro (donne, lavoratori anziani, ecc.). L’elaborazione effettuata dal Censis sui dati dell’European social survey del 2007 mostra che gli italiani considerano che per affermarsi non è persino fondamentale l’intelligenza personale, valutata importante solo per 7 italiani su 100, contro una media europea del 17%, e un valore del 26% per i francesi.
“Troppo enfatica e stanca appare una strategia di formazione permanente, rispetto a meccanismi di apprendimento meno formalizzati e diretti. In Italia – ha commentato Giuseppe Roma, direttore del Censis – nonostante tutto, il 40,1% degli occupati in lavori non manuali ha un elevata professionalità, in sintonia con la media europea, più che in Francia e Spagna”.

In un recente convegno a Trento, Tiziano Treu, presidente della Commissione lavoro del Senato, ha invitato le imprese a “fare meglio i conti”: “se si fa formazione ai lavoratori anziani si fa business e diventa più facile non solo impiegare ma impiegare bene. E’ sbagliato favorire l’uscita anticipata di questi lavoratori attraverso gli “scivoli", così come sbagliano quelle imprese di servizi che tengono per anni sottoutilizzati migliaia di propri dipendenti, nei quali cresce la demotivazione. E’ un grande spreco di risorse”. Formazione dunque, ma formazione finanziata non solo dal pubblico – ha commentato Treu – ma anche dalle parti sociali, imprese e sindacati. E poi forme diverse di organizzazione del lavoro in cambio di sgravi contributivi delle imprese, impiego dei lavoratori anziani come tutor.

Riprendiamo quindi il cammino per scalare la classifica dei paesi con maggior attenzione al training aprendo la nostre scuole interne occupandoci maggiormente del saper fare e del sapere applicato.

 

10-Dic-2007

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