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La Learning Organization: lo scenario di sviluppo delle organizzazioni attraverso il know how

Modelli e strumenti per governare il know how distintivo e spostarlo da un piano prettamente individuale a uno organizzativo.

di Barbara Valentini

Le organizzazioni stanno affrontando sempre più frequentemente il tema della gestione e della diffusione del know how distintivo. Questo tema presenta molti spunti di attenzione, tra i quali, per esempio:

  • la dimensione strategica: come identificare il know how “distintivo” in relazione alle strategie di business? Come mantenere aggiornata la base di know how attraverso le famiglie professionali?
  • la dimensione organizzativa: come valorizzare nelle persone e nell’organizzazione il possesso del know how? Come mapparlo all’interno dell’azienda?
  • la dimensione di competenza e di know how sharing : come diffondere efficacemente il know how facendo leva sulle risorse “expert”?
  • come gestire le tematiche di know how repository?
  • come innestare un approccio di continuous improvement all’interno dell’organizzazione basato proprio sull’accesso e la diffusione del know how distintivo?

Negli anni ’90 le aziende know how-based, quali per esempio le società di consulenza o ingegneria, hanno sviluppato approcci sofisticati al tema. Oggi l’argomento è molto più diffuso nei diversi settori, e rispetto alla problematica è necessario adottare una visione d’insieme.

Il concetto di “distintivo”

Il know how distintivo rappresenta un asset strategico dell’azienda. Da tale concetto deriva l’opportunità di conoscere, gestire e sviluppare il valore di tale asset. Tuttavia, com’è noto, la tematica del knowledge management ha già vissuto una fase in cui è andata “di moda” (verso la fine degli anni ’90) senza tuttavia raggiungere i risultati sperati, ma anzi generando investimenti in sistemi di Knowledge Management troppo articolati e complessi. Spesso, il costo della gestione del know how si è rivelato eccessivo rispetto al vantaggio che se ne è tratto.

Ma facciamo un passo indietro e rivediamo la tematica nel suo complesso, arrivando a capire anche le ragioni del fallimento della “moda” degli anni 90.
La conoscenza (che comprende le nozioni, il come utilizzarle nell’ambito aziendale per arrivare al risultato atteso e le ragioni per cui vengono utilizzare in un dato modo) rappresenta l’elemento che consente alle risorse in azienda di raggiungere gli obiettivi.
Nell’ambito di tutta la conoscenza, tuttavia, dobbiamo identificare gli elementi distintivi, che sono tali per due ordini principali di ragioni:

  • Poca diffusione della conoscenza nel mercato
  • La conoscenza consente di presidiare i processi chiave di business che determinano il vantaggio competitivo dell’azienda.

Infatti, non tutto il know how è distintivo, ancorché importante. Il know how non distintivo può essere tranquillamente comperato all’esterno e/o possono essere esternalizzati i processi che lo utilizzano.
Il know how distintivo è invece quello che supporta i processi chiave di business sui quali l’azienda poggia e attraverso i quali si assicura il vantaggio competitivo. Tale know how quindi non è statico, perché si definisce internamente all’azienda in coerenza con il business model e le strategie aziendali, ed esternamente in funzione di quanto è presente e facilmente reperibile sul mercato.
L’identificazione del know how distintivo dovrebbe essere rimessa a un “comitato di direzione” composto da top manager che declinano le strategie di business nella selezione del know how strategico

La learning organization condivide

La conoscenza risiede in azienda in quanto detenuta dalle risorse. La sfida della Learning Organization è quella di spostare la conoscenza da un piano prettamente individuale a un piano individuale e organizzativo. Questa direzione può generare inizialmente resistenze a livello individuale, in quanto le risorse sanno di valere nella misura in cui detengono un know how esclusivo. Occorre cambiare l’assunto e portare le persone a comprendere come il loro valore stia nella capacità di trasferire il know how. In questo senso, la conoscenza è come il denaro: se lo accumulo e non lo utilizzo, perde valore, se lo metto in circolazione genera valore.

Per facilitare il superamento delle resistenze individuali, dunque, è necessario pensare ai modi possibili per “riconoscere” i knowledge agents nella misura in cui “mettono in circolazione” la conoscenza, generando valore. Ecco quindi come diventa necessario predisporre strumenti organizzativi di riconoscimento e visibilità, rewarding e career development connessi al knowledge sharing.
Ma come si condivide la conoscenza? Esistono in realtà diversi strumenti per condividere la conoscenza. Il primo e più immediato è la formazione. A partire dalla formazione tradizionale d’aula, ad altri strumenti di trasferimento di informazioni attraverso testi, documenti, filmati, testimonianze, etc. Per passare poi al coaching e all’affiancamento on the job. Per arrivare infine alle knowledge community.

Approfondiamo tali spunti. Il knowledge agent può essere un formatore interno all’azienda, chiamato a progettare ed erogare corsi “tecnici” sulle materie di cui è detentore. Per fare questo deve essere opportunamente formato, in modo da progettare il corso ed erogarlo in maniera efficace, così che la sessione formativa non si traduca in un trasferimento di informazioni one way ma in un vero e proprio corso di formazione efficace in cui la conoscenza (nozioni, know how e know why) viene realmente trasferita ai partecipanti
Il knowledge agent può essere anche un coach chiamato a supportare le persone nella fase in cui “applicano” la conoscenza, ovvero propriamente nelle attività e nei processi aziendali, trasferendo feedback sul come e sul perché procedere in un certo modo. Anche in tal caso è necessario un momento formativo in cui il Knowledge Agent impara a trasferire produttivamente i feedback.

Infine, si è accennato alle Knowledge Community. Si tratta di community ad adesione spontanea e a perimetro variabile, auto-normate oppure filtrate da un regolamento, in cui si condividono informazioni, esperienze, domande e risposte, documentazione acquisita, etc. con una logica Web 2.0.
Il timore (inizialmente legittimo) delle organizzazioni di vedere in questo modo “eccessivamente diffuso” il proprio know how distintivo e la possibilità quindi di una “fuga” verso l’esterno del medesimo potrà essere rapidamente fugato attraverso una considerazione che si basa sull’evidenza: la diffusione delle informazioni e della conoscenza nell’epoca moderna, proprio attraverso le logiche di rete, è un fenomeno inevitabile; allo stesso tempo il know how evolve ad una velocità tale per cui le nuove frontiere sono tutte appoggiate sulla circolazione del know how e la sperimentazione che deriva da applicare concetti noti ad ambiti ignoti.

La conoscenza evolve

Ecco perché l’ulteriore task che l’azienda deve appoggiare sulle proprie risorse è la evoluzione del knowledge. Abbiamo detto fin dall’inizio che la conoscenza non è statica, e che quindi la gestione della stessa è un fenomeno in continua evoluzione, è una continua “versione beta”. Le risorse aziendali devono essere riconosciute per l’attività di ricerca di nuovo know how, sperimentazione e condivisione, assicurando in tal modo anche una forte spinta all’innovazione e al continuous improvement. Tale “attitudine” deve essere innestata nella cultura organizzativa, per assicurare in tal modo la competitività, la velocità di reazione e l’innovazione che sono chiave per il successo.

Il knowledge agent deve sempre continuare a essere una persona di business, per evitare che il suo know how divenga rapidamente obsoleto e distante dai processi aziendali. L’organizzazione dovrà disporre attorno a tale figura i presupposti organizzativi necessari per consentire la realizzazione di tale ruolo. Per questo, i suoi obiettivi di business dovranno essere “ponderati” rispetto al fatto che una quota parte del tempo sarà dedicata ad attività di knowledge improvement e knowledge sharing. Ma ancora, anche queste ultime due attività devono essere riconosciute, attraverso un sistema premiante basato su elementi quantitativi e qualitativi.
I processi e gli strumenti suggeriti dall’organizzazione per il knowledge repository & sharing dovranno seguire il più possibile le logiche di bottom up, ossia lasciare alle risorse molta autonomia nella autodeterminazione degli strumenti necessari, anche a discapito della “omogeneità” di processi e strumenti fra le diverse knowledge community, seguendo la filosofia Web 2.0 secondo il quale è l’insieme delle persone a determinare ciò di cui ha bisogno.

Ma allora, ci si chiederà, qual è il ruolo della organizzazione nel knowledge management? È un ruolo di facilitazione di processo attraverso sistemi di rewarding, di indirizzamento in coerenza con le strategie di business, di agevolazione dell’accesso al know how disponibile e di ownership nella gestione del processo complessivo. La conoscenza è un bene inizialmente individuale, ma l’essere umano ha un istinto di condivisione (che gli viene da esigenze di sopravvivenza della specie) che è superiore agli egoismi individuali, per cui è facile fare leva su questo istinto per trasformare un elemento di conoscenza individuale in un fattore condiviso, e la rete ci ha confermato quanto questa semplice assumption sia vera.

Alla organizzazione è richiesto di assicurare il corretto livello di efficienza ed efficacia, attraverso il governo di tale naturale tendenza dell’essere umano, assicurando in tal modo lo sviluppo di un asset strategico per il successo competitivo

28-Giu-2008

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