Il “lavoro di squadra” ha alle spalle metodi
spesso molto diversi tra loro. Non esiste un’unica formula, ma
l’applicazione di diversi punti di vista in funzione della realtà aziendale.
L’obiettivo comune è far incontrare la crescita individuale con lo sviluppo
dell’azienda.
di
Enrico Ratto
Chi ha partecipato al Primo Summit Italiano sui Talenti, svoltosi il
27 febbraio 2007 a Milano e organizzato da “Economist Conferences”, ha
potuto vedere come in materia di Human Resourches le parole si trasformino
in metodo e tutto ciò che finisce sotto il nome di “team working” in realtà
si realizza attraverso una severa prassi quotidiana di gestione delle
performance.
Nella
migliore tradizione inglese, gli interventi degli addetti ai lavori sono
stati ricchi di scienza e pressoché privi di teoria: la figura del “talento”
è stata riportata con i piedi per terra già durante la fase di apertura
lavori da parte del giornalista del Sole 24 Ore Dario Banfi, seguito
dall’intervento di Gianluca Grondona, Direttore HR di Indesit (Gruppo
Merloni). “Preferiamo parlare di key people, piuttosto che di talenti”
specifica il Gianluca Grondona “Sono persone la cui crescita viene gestita
attraverso un programma particolare, cadenzato durante l’anno e durante
l’intera carriera. Un programma che nella nostra realtà si è reso necessario
quando il Gruppo Merloni è stato trasformato da un’azienda a gestione
familiare ad una gestione manageriale: oggi meno di 1/3 dei nostri
dipendenti opera in Italia”.
- In genere, gli indicatori da tenere sotto controllo per una buona
gestione HR sono quattro:
- la crescita all’interno dell’azienda, in funzione delle
responsabilità, dei progetti e della remunerazione;
- la tutela e lo sviluppo di competenze distintive per ogni singolo
manager;
- la possibilità di crescere al fianco di “senior”, relativamente ad
ognuna delle posizioni, che portino la key people ad occupare con sempre
maggiore responsabilità la posizione manageriale di grado superiore;
- la percentuale di assunti dall’esterno rispetto ai manager cresciuti
all’interno dell’azienda.
Quest’ultimo indicatore è stato fondamentale durante il restyling di
Fiat, come spiega Alex Eugenio Sala, Responsabile Formazione, Sviluppo e
Compensation di Fiat Auto: “Nell’anno della svolta del Gruppo Fiat,
il 2005, ci siamo resi conto che una percentuale troppo elevata di manager
veniva assunta dall’esterno, dovevamo migliorare la crescita e l’orizzonte
temporale delle nostre risorse interne. E’ stato così messo a punto un
processo di gestione dei talenti che inizia con l’individuazione e il
trattenimento di queste persone chiave”.
In Fiat Auto il 69% dei dipendenti lavora in Italia. Al momento
dell’assunzione, sia per i neolaureati sia per i quadri dirigenti arrivati
dall’esterno, ad ognuno dei manager viene fornito un “career plan” che andrà
a svilupparsi durante la carriera in azienda. Il livello di abbandono in
Fiat è sceso nell’ultimo anno al di sotto del 2%, complice sicuramente
l’attrazione esercitata oggi dall’azienda.
Il nuovo corso Fiat passa dunque anche attraverso un nuovo modello
culturale: guardare il business, guardare le persone. In questo caso tre
sono le parole chiave che guidano la crescita dei talenti all’interno del
Gruppo: crescita, coinvolgimento, riconoscimento.
Il metodo CocaCola, azienda rappresentata al summit dal Dottor Roberto
Farina, Direttore Risorse Umane di Coca Cola HBC Italia (la divisione
imbottigliamento e distribuzione della multinazionale) viene definito una
“leadership pipeline model”, a firma dell’esperto americano di HR Stephen
Drotter. Coca Cola HBC Italia, terzo best worker in Italia secondo
l’indagine condotta da Great Place to Work, ha sviluppato così un
nuovo concetto di leadership sviluppato su 6 diversi livelli. Per ogni
livello, e quindi per ogni singola persona, vengono individuati alcuni
indicatori utili a conferire un punteggio finale, di solito raggiungibile
nell’arco di 3 anni da ogni manager altamente performante.
In sintesi, le categorie/indicatori su cui ci si confronta durante la
carriera sono:
- management
- business / financial
- people development
- leadership
- relationships
- innovation & growth
- CSR
Ovviamente la priorità di queste categorie viene stabilità in base al
ruolo all’interno dell’azienda, alle funzioni manageriali e al career plan
del manager stesso. Tre categorie di azienda, tre diversi approcci all’HR:
l’impresa familiare cresciuta nel tempo, la grande azienda locomotiva di un
Paese (nella quale le posizioni manageriali sono inferiori rispetto alla
presenza di dipendenti in produzione) e la multinazionale strutturata, dove
ogni singolo reparto può arrivare a 7000 addetti ed essere quindi un’azienda
nell’azienda.
Ma l’impresa italiana è fatta anche da gruppi bancari e finanziari,
fornitori di servizi, dove la produzione è pressoché inesistente (o spesso
esternalizzata) e la gestione delle Risorse Umane registra un turn over
elevatissimo, poiché il segmento commerciale è più sviluppato che in
qualsiasi altra realtà. Oliviero Bernardi, Direttore del Personale del
Gruppo Bancario ICCREA, ha individuato un momento fondamentale per
l’incontro tra le priorità della sede centrale, priorità della filiale e
caratteristiche del manager: il Comitato delle Risorse Umane. Qui viene
gestita la carriera dell’individuo in relazione alle scelte aziendali.
Tre i pilastri di crescita di ogni individuo all’interno del gruppo
bancario: criterio, competenza, responsabilità. “L’individuazione dei
criteri è di natura politica” spiega il Oliviero Bernardi “viene quindi
gestita a livello centrale, dalla capogruppo”.
Il criterio di valutazione, infine, anche per il gruppo bancario viene
definito in base alle cose fatte (curriculum + performance) ma - Bernardi è
stato l’unico ad esplicitare il concetto durante il summit - anche in base
alle modalità.
In altre parole, a contare non è solo il “cosa” – esistono molte strade per
raggiungere l’obiettivo - ma anche il “come”.