Gestione del Talento & Leadership, per garantire
continuità e successo alle imprese
I manager non sono più valutati solo per
le loro competenze e abilità “tecniche”. Ora il loro successo dipende
anche dalla capacità di far crescere altre persone. La meritocrazia è
una delle strade da percorrere per far questo.
di
Alberico Moro
Employer Branding, Talent Development, Diversity Management,
Coaching, Leadership: sono gli argomenti attorno a cui è ruotato e si è
sviluppato il congresso “Talent Management & Leadership Development”
organizzato da Marcus
Evans il 26 e il 27 maggio a Roma.
Hanno partecipato, come relatori, manager delle risorse umane di diverse
aziende, che hanno a che fare quotidianamente con la gestione del talento e
lo sviluppo della leadership, tra cui Marco Scippa di
Elica, Laura Orsolini di Coca Cola HBC e Renzo Libenzi del Gruppo Loccioni.
Queste tre aziende hanno in comune la presenza nelle prime
posizioni del Great
Place to Work degli ultimi anni.
Hanno moderato le due giornate Paolo Emilio Testa di Systems Corp. e
Oliviero Bernardi di Iccrea Holding.
Durante il confronto e gli interventi si sono spalancate
porte e finestre non solo su esperienze e best practices ma anche, con molta
trasparenza e sincerità, su alcune criticità e alcuni problemi ancora
irrisolti, su cui i responsabili HR hanno lavorato e stanno lavorando (la
gestione dei non talenti, il tasso di turnover, il tasso di promozioni
interne, la formazione di manager non ancora leader).
Alcune di queste aziende sono partite proprio da “issue” per cambiare
mentalità e approcci concreti alla gestione delle risorse umane.
Procter&Gamble ha modificato, nel corso degli anni, le sue
campagne di Employer Branding, facendo leva e applicando a queste i suoi
punti di forza (ricerca, creazione del brand, innovazione) ed utilizzando un
approccio simile a quello utilizzato nella creazione, nella gestione e nel
ciclo di vita dei suoi prodotti, focalizzandosi sempre di più sul “target”.
Un approccio che va pianificato, che prevede competenze di marketing e
comunicazione per la creazione di un’immagine a lungo termine e che deve
adattarsi alle richieste e alle aspettative che vengono dall’esterno.
Così, nel 2003 è stata creata una campagna di Employer Branding che ha
sfruttato il canale internet per chiedere ai giovani universitari (il
target) “cosa cercano nelle aziende”. Da questa ricerca sono emersi i due
fattori più importanti nella scelta dell’azienda dove lavorare, ciò che
ritengono più importante i futuri talenti: “avere un ambiente di lavoro
ideale” e “non fare un lavoro ripetitivo”.
Gianluca Grondona (Indesit) ha invitato poi a considerare il
Web2.0 (blog, social network) un’importante canale di employer branding e di
immagine per la relazione diretta con i talenti.
Parlando di tasso di turnover, di percentuali e di numero di persone
“formate” e pronte per ricoprire ruoli manageriali si capisce come certe
azioni, certi “comportamenti”, certe scelte (anche in un’area che potrebbe
sembrare meno tangibile come quella della gestione del talento) siano
misurabili e permettano di capire se la direzione dell’azienda è quella
giusta o se è meglio aggiustare il tiro.
E’ importante misurare i risultati di determinate azioni anche per calcolare
il ritorno sull’investimento. I budget a disposizione delle risorse umane
vanno ottimizzati ed è giusto essere focalizzati anche per non sprecare
risorse che potrebbero essere investite in altri settori.
In tema di ricerca e selezione del talento, Anna Patrono (Whirlpool)
ha dichiarato “Tutto quello che non è core va fatto solo se c’è un valore
tangibile, che deriva dall’investimento mirato. Non è giusto, non è etico,
usare investimenti che potrebbero servire ad altro. Bisogna indirizzare
investimenti e sforzi la dove creano valore”.
Sempre Anna Patrono ha sottolineato l’importanza di “Creare una cultura del
talento all’interno dell’organizzazione”, continuando poi così “Bisogna fare
in modo che le cose accadano concretamente. I manager delle risorse umane
hanno il compito di capire le strategie del business, capire quali sono le
priorità, fare le cose in maniera logica e sviluppare, appunto, una cultura
che permetta l’execution. Questo significa anche chiedersi di cosa e di
quali figure avrà bisogno l’azienda fra 5-10 anni e costruire un processo in
questo senso”.
Le aziende infatti riconoscono nella capacità di individuare, attrarre e
gestire i talenti e il loro sviluppo, una necessità fondamentale non solo
per il presente ma anche per crescere e garantirsi un futuro migliore, una
continuità.
In questo senso i manager delle risorse umane fungono da
coordinatori e facilitatori di un processo che deve essere vissuto e sentito
all’interno dell’organizzazione dal top management e anche dagli altri
settori. All’interno di questo processo i manager hanno nuove responsabilità
e vengono valutati non solo per le loro competenze tecniche ma anche in base
alla loro capacità di gestire le persone e di farle crescere.
Questa evoluzione della figura del manager, da “capo” a “coach”, è molto
attuale e richiede un investimento da parte delle aziende, che dovranno
formare e sviluppare le capacità di leadership dei dirigenti attuali per
garantirsi dei leader anche nel futuro.
“La nostra crescita è limitata dalla mancanza di Leader, non ho la certezza
che nel 2012 avremo i leader per far crescere il business” sono le parole di
un CEO, riportate da uno dei relatori presenti.
Il rapporto fra il manager e le persone che fanno parte del suo gruppo di
lavoro dovrebbe “favorire il dialogo ed essere caratterizzato da feedback
molto onesti, il manager dovrà motivare il suo scollamento su quelle
valutazioni che la persona chiamata in causa reputa non precise e non
esatte, non in linea con le sue auto-valutazioni” (Lorenza Ferraguti–Nike).
Molta attenzione, sia in fase di selezione sia in fase di assessment
interni, viene posta sul sistema valoriale delle persone. Parlare di valori
aziendali condivisi vuol dire conoscere anche i valori delle singole persone
che ne fanno parte. Lorenza Ferraguti ha spiegato, ad esempio, che in Nike
esiste un programma che mette a confronto i valori personali con i valori
dell’azienda per capire se c’è un incrocio “Crediamo che lavorare in
un’azienda che riesce a soddisfare i tuoi valori personali sia molto
importante”.
La crescita di un’azienda significa anche espansione su
nuovi mercati, apertura di nuove filiali all’estero e questo comporta altre
criticità da gestire, tra cui la gestione delle “diversità” (Diversity
Management), di cui va tenuto conto parlando di gestione del talento e delle
persone più in generale. Molte delle aziende presenti al workshop hanno
uffici e fabbriche all’estero o fanno parte di multinazionali.
Sul Diversity Management si è concentrato in particolare Gianluca Tittarelli
di Philip Morris Italia “In Philip Morris lavorano persone che vengono da
tutto il mondo, con diversi background, questo per noi rappresenta un
vantaggio competitivo. Per gestire le diversità abbiamo condiviso dei
principi a livello internazionale, per creare una realtà senza pregiudizi,
degli ambienti di lavoro ideali e per mettere tutte le persone nelle
condizioni di lavorare al meglio”.
Sulla valutazione del potenziale e lo sviluppo dei talenti è
stato molto interessante il contributo di Laura Orsolini (Coca Cola HBC)
“Abbiamo identificato le caratteristiche che identificano un potenziale
talento: per noi le persone di talento sono curiose, si mettono in gioco,
prendono poco tempo al capo, non si fanno problemi di status, sono
desiderose di apprendere quali sono le capacità a ridosso del loro ruolo.
Per gestire i talenti ci siamo dotati di una matrice a nove quadranti, su un
asse c’è livello di performance (not yet, full, exceptional) e su quell’altro
il livello di potenziale, tenendo presente che il potenziale non è
cristallizzato, vive nell’oggi, domani può cambiare. Il nostro approccio
alla performance è focalizzato sul risultato più che sulla persona, il
problema non è la persona ma il risultato che deve arrivare, se un ruolo non
viene svolto al meglio avrò una serie disfunzioni che potrebbero allargarsi
a tutta l’organizzazione. Per quanto riguarda lo sviluppo, l’aula può
gettare un seme, poi avviene tutto sul campo. La responsabilità dunque è
anche del manager che avrà come compito quello di fare coaching. La persona
deve essere messa in grado di mettere in pratica quanto ha appreso”.
Infine Oliviero Bernardi, moderatore della seconda giornata,
facendo il punto, ha parlato della gestione dei non talenti – “C’è un altro
mondo di popolazione che dobbiamo far funzionare al meglio anche se non
rientra in quell’elite che garantirà la continuità. Bisogna tenere alta la
motivazione di tutti. E’ importante anche quella dei livelli più operativi,
non li possiamo trattare come i talenti ma abbiamo bisogno che facciano bene
il loro lavoro. Possiamo farlo puntando sulla meritocrazia, facendo capire
che è un valore reale e differenziando, ad esempio, anche verso il basso,
fra chi s’impegna e chi invece ha poca voglia di lavorare”.
10-Giu-2008
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