Attualmente “l’internazionalizzazione
dell’impresa”, insieme con “l’innovazione, ricerca e sviluppo”, è uno dei
grandi argomenti su cui si cerca di coinvolgere le imprese italiane al fine
di farle uscire dalla situazione di crisi in cui si trovano, soprattutto nei
confronti della globalizzazione dei mercati. Sebbene da diversi anni
s’investa molto in promozione e assistenza per l'internazionalizzazione, i
risultati non arrivano, o sono molto scarsi a fronte di grandi sforzi
realizzati. Cerchiamo di capirne le ragioni.
di
Michele Lenoci
Le linee guida adottate sia a livello nazionale che locale da parte di
enti ed istituzioni per le attività di sostegno e promozione riguardano le
imprese in modo generico, come se adottare queste misure abbia lo stesso
effetto sia per una piccola che per una grande impresa. Il problema è che
spesso invece vanno bene solo per le aziende medio-grandi.
Ma come è composta la realtà aziendale in Italia? Vediamo:
Fonte: Archivio Statistico
delle imprese Attive (ASIA), 2004.
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n° Addetti |
% Imprese |
% Lavoratori
occupati |
1 – 9
(Microimprese) |
82,9 %
(89,5 % nel mezzogiorno) |
25,3 %
(39,6 % nel mezzogiorno) |
10 – 49
(Piccole imprese) |
14,9 %
(9,5 % nel mezzogiorno) |
31,3 %
(33,4 % nel mezzogiorno) |
50 – 249
(Medie imprese) |
2 %
(0,9 % nel mezzogiorno) |
21,1 %
(15,9 % nel mezzogiorno) |
Oltre 250
(Grandi imprese) |
0,2 %
(0,1 % nel mezzogiorno) |
22,3 %(*)
(11,2 % nel mezzogiorno) |
(*) In Francia le grandi imprese occupano il 47%
dei lavoratori. In Germania il 60%
Da questi dati risulta evidente che il binomio microimpresa + piccola
impresa è la quasi totalità del mondo imprenditoriale italiano (il 97,8%
delle aziende italiane che dà lavoro al 56,6% delle persone). Gli aiuti ed i
sostegni andrebbero diretti in particolare alle microimprese (che da sole
rappresentano l’82,9% delle imprese italiane) non solo perché sono
numericamente la maggioranza ma, soprattutto, perché vista la loro
dimensione, hanno poche risorse economiche per poter fare investimenti
consistenti al fine di poter affrontare i mercati esteri.
Se poi nello specifico vediamo qualche dato sulle caratteristiche delle
nostre aziende che esportano vediamo che:
- Le aziende esportatrici sono circa 180.000 (il 4,3% di tutte le
imprese italiane): il 61% è microimpresa ed il 93% non supera i 50
dipendenti, producendo il 31% del nostro export.
- Le medie imprese rappresentano il 6% delle aziende esportatrici ed
hanno una quota del 27% delle nostre esportazioni.
- Solo l’1% delle imprese esportatrici appartiene alla categoria delle
grandi aziende (oltre 250 addetti) e realizzano il 42,3% delle
esportazioni: le prime 100 imprese per dimensione sviluppano circa il
20% del totale delle vendite all’estero dell’Italia.
- Circa 110.000 delle aziende che operano sull’estero (2/3 del totale
nazionale) nel 2004 hanno realizzato vendite per un valore annuo
inferiore ai 75.000 euro ciascuna, rappresentando appena l’1% del export
nazionale complessivo. Con un valore di vendite estere così basso
difficilmente si potranno permettere un “export manager”.
Questo significa che in Italia le aziende che esportano sono poche; che
la maggior parte del fatturato export si concentra in poche grandi imprese;
invece sono micro e piccole la maggior parte di quelle che esportano, con un
fatturato molto basso: dunque hanno bisogno di aiuto e sostegno.
Ma quali sono le caratteristiche di una microimpresa? A grandi linee
possiamo dire:
1) Non esiste una progettualità (niente business plan, piani di
marketing, pianificazione finanziaria, ecc.). Vivono alla giornata, in
continua emergenza. Spesso aderiscono a progetti di promozione e assistenza
ma raramente li portano a termine, sopraffatti dalla quotidianità.
2) L’imprenditore concentra su di sé tutte le funzioni aziendali: niente
ufficio export, responsabile marketing, area manager, ecc. E se ci sono,
svolgono attività diverse da quelle previste per il loro ruolo. La delega è
solo formale, non sostanziale.
3) La ricerca di nuovi clienti, sia nazionali che esteri, è affidata al
caso e alle circostanze che capitano di volta in volta (è una conseguenza
del punto 1).
4) Le attività promozionali vengono scelte solo sulla base del costo più
basso, non sulla base del potenziale risultato. Le adesioni a fiere o altre
manifestazioni avvengono all’ultimo momento (dunque pagando a prezzo pieno
stand, alberghi, voli, etc.).
5) Tutto ruota intorno ai prodotti. Sono spesso di ottima qualità,
artigianali nella stragrande maggioranza. Quasi non subiscono modifiche o
sviluppi nell’arco di vita dell’azienda (niente ciclo di vita del prodotto).
Si dà per scontato che il prodotto si venderà "da solo perché ottimo". Non
si accetta l’idea che forse quel prodotto non soddisfa il bisogno dei
consumatori, o che ci sono altri prodotti concorrenti.
6) Come conseguenza del punto precedente, i servizi che ruotano intorno
al prodotto (marketing, promozione, comunicazione, etc.) sono ritenuti
inutili o, nella migliore delle ipotesi, bisogna spendere il meno possibile
visto che sono solo dei costi. La Formazione è solo un costo anche nel caso
in cui sia gratuita (se l’imprenditore va in aula l’azienda rimane chiusa).
7) Se le aziende non hanno esperienze di export, ritengono che appena
presenteranno i loro prodotti questi saranno acquistati immediatamente, che
all’estero li aspettavano a braccia aperte, e che essendo prodotti “Made in
Italy” i clienti saranno disposti a pagare qualunque prezzo per quanto
stratosferico esso sia.
8) Il concetto di mercato, sia nazionale che estero, è molto generico. Le
informazioni ed i dati non vengono monitorati e studiati. Le fonti sono
spesso solo i mass-media e le decisioni vengono prese sulla base di notizie
non controllate, oppure basandosi sul “fiuto ed istinto imprenditoriale”.
9) La microimpresa ha una sola parola d’ordine: trovare chi vuole
comprare il suo prodotto (niente delocalizzazioni, investimenti in società
commerciali, Joint Ventures, etc.), e che paghi in anticipo (scarso uso di
lettere di credito, assicurazioni sui pagamenti, etc.).
Questo spiega perché la maggior parte delle attività di promozione e
sostegno per l’internazionalizzazione alle imprese dia scarsi risultati.
Queste attività dovrebbero servire come le catapulte delle portaerei per
lanciare gli aerei (in questo caso le aziende). Purtroppo invece accade che
una volta che si ferma la catapulta, si ferma anche l’aereo, e questo
succede perché la catapulta non sa cosa sta lanciando. Gli elementi
caratteristici delle micro e piccole imprese sono quasi sempre in antitesi
rispetto a quelle delle grandi imprese.
Un
esempio: il 90% dei produttori di vino italiano (prodotto che sta
riscuotendo grande successo in alcuni mercati internazionali) ha una
produzione media annua di 10.000 bottiglie (in un container ci vanno 20.000
bottiglie). Avrebbe dunque senso portarli in missione commerciale negli USA
dove il più piccolo importatore chiederà almeno qualche container all'anno?
Eppure sia il sistema economico che formativo continua a considerare solo
l’azienda medio-grande come perno della nostra economia. I giovani studiano
e si laureano su testi che parlano solo di grandi imprese. Argomenti come
Marketing, Risorse Umane, Organizzazione Aziendale ed altre sono impostate
sulla base di strutture aziendali di notevoli dimensioni e ben strutturate.
Se si va in una libreria specializzata i testi che parlano d’impresa sono
per la stragrande maggioranza libri che trattano la realtà delle grandi
imprese (spesso sono traduzioni di testi anglosassoni che riguardano la
gestione di multinazionali). A volte si trova qualche testo che parla di
PMI, ma anche la piccola impresa è una realtà diversa rispetto alla
microimpresa, per non parlare del fatto che molte volte questi testi sono
scritti da persone che non hanno mai messo piede in una PMI.
Da ciò si evince la ragione per cui il nostro sistema
scolastico/universitario/formativo sforna, in percentuale sempre maggiore,
dei disoccupati. I giovani escono ben preparati per una realtà economica che
nel nostro paese rappresenta solo una minima percentuale del tessuto
economico. Sovente gli imprenditori delle microimprese non vogliono i
laureati in azienda (“vogliono solo essere ben pagati e non sanno fare
niente” si sente dire spesso, e non a torto). Eppure si tratta quasi sempre
di giovani validissimi, ben motivati e con voglia di fare, ma totalmente
impreparati per una realtà ben diversa da quella che hanno studiato.
Altro riscontro lo troviamo nelle Fiere, anche esse nella quasi totalità
impostate per le grandi aziende. Infatti solo queste ultime riescono ad
ottenere dei risultati in virtù del fatto di avere a disposizione del
personale in grado di gestirle, mentre le microimprese sono sempre più
deluse e restie a parteciparvi in quanto non riescono a trasformare la loro
presenza in fatturato.
Non serve offrire alla microimpresa finanziamenti per la partecipazione a
fiere o missioni commerciali che non è in grado di gestire (partecipazione,
negoziazione, attività di back-office al ritorno, ecc.). L'azienda ha
bisogno di essere accompagnata, seguita ed assistita, in tutte le fasi
dell’internazionalizzazione. Questo significa mettere a loro disposizione
non finanziamenti o non solo per meglio dire, ma risorse umane preparate
alla loro realtà, cioè persone che abbiano sì una preparazione manageriale,
ma che siano in grado anche di fare i commerciali, disposti a “sporcarsi le
mani” (fare telefonate in più lingue, scrivere lettere commerciali, inviare
campionature, creare il catalogo, approntare un sito web, ecc.), persone in
grado di creare strategie sulla base delle caratteristiche di queste
aziende, e poi in grado di trasformarle in valide azioni commerciali con
l’estero.
E’ proprio l’assenza di figure professionali altamente ma, anche,
specificatamente qualificate per le microimprese che comporta una buona
parte dei fallimenti o degli scarsi risultati dei piani di sostegno
all’internazionalizzazione.
In Germania nella regione del Baden-Württemberg è in atto un progetto
denominato “BUSTEN”, tramite il quale viene realizzato un check-up
dell’azienda per verificare il grado di preparazione
all’internazionalizzazione; in presenza delle caratteristiche necessarie,
viene offerto un servizio di supporto, consistente in una attività di
accompagnamento tramite consulenti per creare e ampliare l’attività di
export dell’azienda. Tale azione è per un terzo finanziata da fondi europei,
per un terzo dallo Stato Federale e per un terzo dalla Regione del
Baden–Württemberg (per le aziende è gratis). In altre regioni tedesche molte
Camere di Commercio inviano all’azienda che vuole internazionalizzarsi un
esperto che le affianca per ben 3 anni. In Spagna la Regione Catalogna ha
attivato un programma chiamato “MICRO” con il quale vengono predefiniti dei
gruppi di 4 imprese a cui viene offerta l’attività operativa di un
consulente Junior per 1 anno, affiancato da un consulente Senior che dedica
60 ore l’anno all’impresa; il tutto a un costo di appena 300 Euro al mese
per l’azienda.
In Italia va riconosciuto che l’Istituto per il Commercio Estero (ICE) ha
avviato in alcune regioni delle attività di assistenza di questo genere per
le PMI. A breve partirà un progetto di formazione di esperti export in
Basilicata che poi saranno inviati in stage a fare affiancamento per 8 mesi
presso piccole aziende, supportati da esperti Senior. Purtroppo non sono
programmi di tipo strutturale e permanente (come in Germania e Spagna), ma
solo sporadici progetti dovuti al merito di singoli funzionari
intraprendenti che per farli approvare devono spesso superare notevoli
difficoltà.
Sono azioni costose, che non hanno certamente l’immagine e la visibilità sui
mass-media che invece hanno tante “missioni commerciali di alto livello” con
personaggi e aziende rinomate, ma che producono grandi risultati operativi
nello sviluppo dell’export delle microimprese.
26-Mag-2007