La bassa managerialità “Made in Italy”
di
Rosvanna Lattarulo
Investire in marketing e comunicazione, in internazionalizzazione di
impresa, in personale: queste le aree che molte aziende stanno potenziando
per difendersi e tentare di resistere alla competizione, spesso spietata,
che esiste attualmente nel mercato globale.
Un approccio che caratterizza molte delle
imprese italiane, soprattutto localizzate nel Nord Italia: qui, infatti, vi
è un dirigente ogni 70 occupati; contro uno ogni 350 presenti nel
Mezzogiorno (in Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Campania). Questo,
il risultato emerso da un’indagine compita su un campione di 7000
intervistati dall’Osservatorio regionale Banca Imprese.
La bassissima “managerialità” che caratterizza molte imprese del Sud
Italia, dipende dalla dimensione ridotta di molte imprese (il 95% ha meno di
50 addetti) ivi localizzate, ma anche dalla forma di gestione ancora qui
molto diffusa, quella “familiare”. Si comprende bene perché nel Sud Italia
la percezione del bisogno di figure manageriali è ancora molto bassa. In
Basilicata, addirittura, nessuno degli intervistati ha dichiarato di aver
bisogno di manager; in Puglia solo il 7% (il dato più alto tra le regioni
considerate dal rapporto) riconosce l’importanza di assumere delle figure
professionali altamente qualificate.
Tale gestione non può che penalizzare quelle aree aziendali che, più di
altre, richiedono esperti qualificati: l’area marketing e comunicazione,
quella commerciale e l’area export. Basti pensare che solo il 35% delle
imprese che esporta all’estero ha dei manager nel proprio organico dedicati
interamente a questo tipo di attività; solo il 30% di quelle che praticano
strategie di innovazione ha un manager che ne segue il processo. Il
risultato non può che essere scontato: nonostante l’ottima qualità del “made
in Italy”, le vendite dei prodotti italiani continuano a calare.
Un altro dato interessante emerso dall’indagine riguarda l’organizzazione
aziendale. Poche sono le aziende che stanno investendo per ottimizzare le
proprie risorse e rendere più efficienti i propri organici. Non a caso, è
assai ridotto il numero di aziende che ha fatto ricorso agli incentivi
pubblici previsti dalla legge Bersani (266/97) che ha fissato un contributo
statale per coprire il 50% dei costi previdenziali derivanti dall’assunzione
di un manager (in mobilità) per il primo anno.
Anche in questo caso, l’Italia è spaccata a metà: la Lombardia, il Piemonte
e l’Emilia Romagna sono le regioni italiane che hanno richiesto più
contributi (rispettivamente in numero di 61, 34 e 28). Nel Sud questo
strumento non ha riscontrato grande successo: spiccano, tra tutte, la
Calabria (6) e la Campania (9).
Differenze si riscontrano non solo su scala geografica ma anche nei
diversi settori produttivi: moda, lusso e largo consumo sono i primi settori
ad aver iniziato ad investire nel personale, a valorizzare in azienda
soprattutto le giovani risorse, nella convinzione che i giovani sono
preziosi portatori di soluzioni innovative ed estremamente creative.
Decisamente meno dinamiche appaiono, invece, il mondo della finanza e
dell’industria, dove si ci si affida ancora a manager di più lunga
esperienza.
Rosvanna Lattarulo (www.spazioimpresa.biz)
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