I managers valgono per ciò che costano?
di
Vincenzo Morlini
L’attività di un manager si può, in estrema sintesi, ricondurre ad un
fatto solo: prendere decisioni. E sappiamo che ogni decisione comporta
sempre una scelta.
Il ruolo del manager consiste, quindi, primariamente nel collaborare con
l’imprenditore, o con gli azionisti a seconda delle circostanze,
nell’esercizio del fondamentale processo decisionale quotidiano, sia
operativo che strategico, affinché l’impresa possa creare valore e
continuare ad esistere nel tempo, in relazione alla sua missione ed ai suoi
obiettivi.
Il contesto socio economico e culturale nel quale le imprese moderne si
trovano ad operare, l’economia globalizzata e lo sviluppo tecnologico hanno
generato una forte accelerazione di tutto il sistema, forti discontinuità
con il passato, maggiore frequenza ed intensità nei cambiamenti.
Sono tutti elementi che rendono estremamente più problematica l’efficacia
del processo decisionale, sia del manager, che dell’imprenditore stesso.
L’imprenditore, per sua vocazione, accetta il rischio d’impresa. Non è
così per il manager, in quanto diversamente avrebbe optato per fare
l’imprenditore. Il manager, per la sua disponibilità, la sua esperienza, la
sua competenza specialistica, spesso in un’area ben precisa, legittimamente
negozia un compenso per la sua prestazione professionale. Tale compenso si
trasforma quasi sempre in un costo significativo nella gestione d’impresa,
sia essa di modeste che di grandi dimensioni, costo del quale è sempre più
importante analizzare l’efficacia.
Pur essendo sempre necessarie competenze specifiche settoriali (di
marketing, organizzazione, internazionalizzazione, finanza e controllo,
ecc.) il mercato globalizzato richiede oggi sempre più figure manageriali
eclettiche, capaci di concepire l’impresa come un tutto, di contribuire alla
definizione delle strategie, di comprendere le problematiche intersettoriali
e di interagire efficacemente con i colleghi, per un vero team work.
Eclettismo, capacità di lavorare in gruppo, interdisciplinarità,
disponibilità effettiva a rapidi cambiamenti sono oggi doti indispensabili
per un manager che voglia far fruttare il costo che la sua prestazione
addebita al conto economico dell’azienda. Per non parlare del costo delle
mancate opportunità che il manager non è stato in grado di cogliere o degli
errori generati da decisioni sbagliate.
Non esiste il manager che non commette errori: è però necessario che le
decisioni corrette superino le decisioni sbagliate, quantomeno in relazione
alla concorrenza e alle aspettative dei clienti.
Diceva il mitico Vince Lombardi, indimenticato allenatore dei Green Bay
Packers, plurivincitori per campionato di Football Americano: “non è
indispensabile vincere tutte le partite del campionato, è sufficiente
vincerne una in più di chi arriverà secondo!”
Al manager è quindi concesso di sbagliare: non può commettere, però,
errori tali da compromettere la creazione di valore dell’impresa, la sua
continuità nel tempo, soprattutto quando i concorrenti riescono a fare
meglio.
Il manager è pagato affinché le sue decisioni consentano all’impresa di
proporre al mercato prodotti e servizi ad un prezzo che i clienti giudicano
adeguato al loro valore e che tale prezzo sia superiore al loro costo.
Per ottenere questo risultato il manager deve conoscere i propri costi, i
prezzi ai quali i clienti sono disposti ad acquistare, quindi il valore che
i clienti attribuiscono ai prodotti e servizi offerti e fare in modo che il
costo degli stessi sia inferiore al prezzo. Tutto il resto è aria fritta.
Comprendo che questa semplificazione possa sembrare fin troppo estrema e
quindi anche banale: ma tutto parte da qui, dall’impostare una relazione
corretta tra costo, prezzo e valore. Solo il manager che, nel tempo dovuto,
in relazione alla concorrenza ed alle dinamiche del mercato, riesce a
mantenere tale relazione corretta è un manager che vale ciò che costa.
Lo studioso americano Paul Strassmann ha sviluppato una tecnica precisa
per misurare “il valore aggiunto del management”, tecnica sempre più
utilizzata anche nelle piccole e medie imprese per valutare l’effettivo
apporto del management nella creazione di valore dell’impresa.
Ciò serve non solo nell’ovvio caso in cui non esiste creazione di valore
globale, ma anche nel caso di soddisfazione delle performance complessiva,
perché se il costo del management fosse superiore al valore dallo stesso
creato, avremmo individuato con precisione un’area che necessita
monitoraggio e miglioramento.
Sorge a questo punto spontanea e naturale una domanda: come può il
manager migliorare la propria contribuzione alla creazione di valore
dell’impresa, ed in particolare come può far sì che il suo costo sia
inferiore al valore prodotto?
La risposta è ovviamente lunga e complessa, ma parte da un fondamentale
principio di base: l’esperienza da sola, oggi, non è più sufficiente, ed
ancora meno lo sono i lontani studi passati, ma è necessario investire in
nuova conoscenza.
È necessario, quindi, anche tra i managers non più giovanissimi, avere
l’umiltà e l’apertura mentale per rimettere in discussione le proprie
certezze. I modelli di successo del passato non necessariamente potranno
avere nuovo successo nel futuro.
Investire in conoscenza significa destinare tempo e risorse per
comprendere le dinamiche di un mercato in continua e rapida trasformazione,
affinché il processo decisionale al quale non ci si può sottrarre sia il più
efficace possibile (…o almeno migliore della concorrenza!) per consentire
all’impresa di raggiungere i propri traguardi.
VINCENZO MORLINI
Senior partner
PROGEA – CONSULENTI DI DIREZIONE
Vincenzo Morlini sarà impegnato come docente nel ciclo di seminari di
Finanza e Controllo di Gestione che Ifoa realizza a Bari a partire
dall’autunno 2005.
www.ifoa.it/corsi/puglia/seminari.asp
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