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Effetto Wal-Mart

Every day low prices. Per Wal-Mart questo non è un semplice slogan ma un obiettivo che la catena americana persegue con successo dal 1962; una promessa mantenuta col consumatore, che ha portato l’azienda ad essere il più grande retailer al mondo, con un fatturato 2005 di 312,4 miliardi di Euro e 6.500 punti vendita in 14 Paesi.

di Elisa Scarcella

 

In USA Wal-Mart è una sorta di istituzione nazionale, un esempio di successo su scala globale, in grado di non avere rivali e di definirsi anche, con i suoi 2 milioni di dipendenti (1 milione e 200.00 addetti in USA e altri in Asia e Europa), il maggiore datore di lavoro al mondo.

Wal-Mart è anche l’impresa più influente al mondo, in grado di esercitare un enorme potere anche su chi non è cliente e non lo sarà mai e di portare cambiamenti sull’economia dell’intero pianeta.
E’ il cosìdetto “Effetto Wal-Mart”, fenomeno descritto dettagliatamente nell’omonimo libro, bestseller in USA e da poco disponibile in Italia, dove sta dando vita ad ampi ed interessanti dibattiti.
Il volume è il frutto di un meticoloso lavoro di inchiesta ad opera del giornalista investigativo Charles Fishman, laureato ad Harvard, già redattore al Washington Post e, dal 1996, senior editor della rivista Fast Company (dedicata alle aziende dinamiche e innovative).

Il giornalista ha visitato in diversi mesi dozzine di Wal-Mart sparsi in tutto il mondo ed ha analizzato approfonditamente le dinamiche, le strategie ed i fattori di eccellenza del gigante di Bentonville (la cittadina dell’Arkansas dove fu aperto nel 1962 il punto vendita n. 1 e hanno sede i quartieri generali), descrivendone l’ascesa e l’espansione ed includendo anche i risvolti umani ed economici della sua attività. L’azienda ha costruito la propria fortuna grazie alla dedizione fanatica del suo fondatore, Sam Walton (che nel 1992 lasciò questo mondo mentre controllava, nel suo letto d’ospedale, gli ultimi dati sul fatturato).
Profondamente idealista e al tempo stesso spinto da forte spirito imprenditoriale, Walton perseguiva l’obiettivo di rendere felici i propri dipendenti e consumatori, mirando costantemente a <vendere prodotti di qualità al prezzo più basso che ci sia sul mercato e assicurarci di averne sempre una scorta sufficiente in magazzino>.
E ci riuscì sempre, facendo leva sui valori tipici dello spirito americano - duro lavoro, frugalità, disciplina, costante miglioramento – ed attuando una massiccia riduzione dei costi (sia interna che da parte di produttori e fornitori), ottenuta individuando costantemente ogni centesimo possibile da risparmiare sulla progettazione, confezionamento, manodopera, materiali, trasporti, esposizione nei negozi (uno degli storici direttori Ron Loveless racconta che <per ogni dollaro che spendevi, dovevi chiederti quanta merce occorresse per recuperare quel dollaro>).

Analizzando il colosso Wal-Mart dei nostri giorni, tra i fattori di successo alcuni sono i classici parametri dell’eccellenza aziendale: competenza manageriale, efficienza, perfetta organizzazione logistica, sistema informativo eccellente e cultura d’impresa condivisa.
A questi si aggiunge l’ossessiva e minuziosa raccolta dati attuata attraverso il database di vendita “retail link” messo a disposizione anche dei fornitori, in modo che possano capire dove e come e quali loro prodotti vengono venduti , che tiene traccia di ogni articolo venduto da ciascun registratore di cassa, in ogni stato e in ogni turno di lavoro, monitorando così non solo la tipologia di prodotti venduta ma anche le performance e l’efficienza di ogni singolo cassiere (il monte salari è calcolato in base alle vendite e il direttore di ogni supercenter è istruito a gestire l’attività come fossero soldi suoi ).
Con questo sistema è anche possibile misurare il fatturato per metro di scaffale, per ogni prodotto e ogni categoria. Inoltre, si tiene sempre d’occhio con attenzione la concorrenza: i manager di ogni livello – che i insieme ai buyer lavorano dalle 6.30 del mattino fino alle 17 o anche 19 e fanno il punto della settimana nella leggendaria riunione del sabato mattina - devono recarsi periodicamente nei punti vendita dei concorrenti per trarne ogni spunto possibile, replicarne la filosofia operativa e la cultura retail, dove questo possa portare a miglioramenti per Wal-Mart.

 Strategica è anche la scelta di espandere le proprie aree di vendita con cautela, cercando di capirne le dinamiche ed operando prima modesti investimenti, per poi passare a quelli massicci se il settore è promettente (infatti si investe solo nei settori considerati adatti a Wal-Mart ), affidandone lo sviluppo a manager che devono cavarsela totalmente da soli e rispondere del successo o dell’insuccesso del compito loro affidato (generalmente con un budget di 500.000 $ l’anno).
Una possibilità preziosa per lanciare nuovi prodotti in grande stile, in un’area vastissima e in breve tempo. E se non funziona, si tenta con un altro settore.

Queste strategie hanno portato Wal-Mart a non avere rivali, potendo garantire ai clienti non solo di trovare ogni cosa di cui hanno bisogno, ma di trovarla sempre al minor prezzo possibile, cioè al 15% di meno rispetto ai prezzi medi offerti dai concorrenti.
Anche se questo significa rinunciare a “far shopping”, ma semplicemente recarsi al punto più vicino (mai più distante, in media, di circa 3 km dal proprio centro urbano) a fare provviste.
Infatti i punti vendita hanno un arredamento disadorno, scarno, confuso, privo di alcun elemento ludico ed esperenziale; le corsie sono lunghe, il personale ridotto, le merci esposte in modo disordinato; i cassieri sono svogliati e difficilmente aiutano i clienti a trovare ciò che cercano né, tanto meno, forniscono assistenza post vendita (infatti Wal-Mart viene tagliata fuori dalla vendita dei brand di fascia alta). Ma basta la motivazione dei clienti e la consapevolezza di aver risparmiato molto denaro per spingere ogni anno il 93% delle famiglie americane a fare lì la spesa almeno una volta e, attirata dai prezzi esageratamente bassi (che, tra l’altro, diminuiscono costantemente, analizzando lo stesso prodotto), ad acquistare non solo il necessario ma anche il superfluo.

Wal-Mart, che fino a vent’anni fa aveva le dimensioni di una catena locale di ipermercati (nel 1990 era presente con appena 9 supercenter per arrivare nel 2000 a contarne 888), è il primo rivenditore di generi alimentari del Paese (nelle città detiene il 25-30 & del mercato e circa il 16% a livello naizonale) e si pone l’obiettivo di raddoppiare il suo giro di affari entro il 2010.

Tutto positivo? Fino ad un certo punto, perché, come ci spiega Fishman, qui inizia a manifestarsi l’effetto Wal-Mart: con prezzi così inferiori ai rivali, quando un supercenter Wal-Mart apre in una città, in breve tempo porta a sé tutti la clientela, decretando così la chiusura a catena degli esercizi commerciali già esistenti (si legge sulla rivista Music Trade del luglio 2004: <Dopo aver visto una chitarra da $89 da Wal-Mart, se entrano nel vostro negozio e ne vedono una da $ 500 penseranno che li stiate derubando!>).
Basti pensare che nel decennio tra i 1990 e il 2000, ben 27 catene di supermercati sulle 31 che hanno chiesto di ricorrere alla protezione prevista dalle leggi sulla bancarotta, hanno attribuito alla concorrenza di Wal-Mart la principale causa del proprio tracollo.

Se poi analizziamo quali sono i fattori, indubbiamente di eccellenza, che permettono a Wal-Mart di garantire sempre prezzi così bassi, ci ritroviamo a dover riflettere sul rapporto che lega l’azienda ai propri dipendenti “eufemisticamente e paternalisticamente” - secondo il giudizio del giornalista- chiamati associates, e fornitori, definiti partners (60.000 solo in USA).
Infatti ai primi viene chiesto di lavorare mediamente molte più ore rispetto alle catene concorrenti e a condizioni non sempre molto agevoli (si parla di social cost of low cost perché numerose sono le azioni legali in materia lavoristica intentate contro Wal-Mart, tra cui una che vede 1,6 milioni di donne dipendenti ed ex dipendenti unite in una causa collettiva per discriminazione sessuale), mentre sui secondi - che hanno quasi sempre sede nei Paesi dove il costo del lavoro è più basso – viene costantemente esercitata una forte pressione per ridurre all’osso i costi di produzione ed accollarsi spese che dovrebbe sostenere invece Wal-Mart, come la distribuzione capillare ai singoli punti vendita (e non a pochi punti preposti) e la realizzazione di periodiche analisi di mercato (di cui si fa carico, per ogni settore merceologico, un category captain, cioè un’impresa che analizza le performance di tutti i prodotti della propria categoria e studia le strategie per migliorarne la vendita).

Ma per un’azienda fornitore, Wal-Mart rimane pur sempre la più grande occasione di business e, spesso, ne garantisce la sopravvivenza, grazie ai suoi massicci ordini di merci e ad una rigorosa puntualità nei pagamenti. Wal-Mart è il cliente più importante, per questo i fornitori di medio-grandi dimensioni hanno appositi team dedicati ai rapporti con Wal-Mart (il più famoso di questi è quello della Procter & Gamble, che consiste in 250 persone ed è situato a sud di Bentonville), che hanno lo scopo di condividere tutte le informazioni con il grande retailer, in modo da creare un unicuum operativo tra le aziende.
Per capire quanto sia importante la gestione del rapporto con i fornitori al fine di mantenere la promessa al cliente (every day low prices), basta citare due innovazioni apparentemente piccole ma rivoluzionarie, imposte da Wal-Mart: la prima è aver spinto, all’inizio degli anni Novanta, le case produttrici di deodoranti a vendere i prodotti senza la confezione di cartone in cui ognuno di essi era contenuto; una prassi considerata uno spreco inutile di materiale e denaro per progettare, realizzare e spedire la confezione ai punti vendita, dove poi l’intero prodotto occupava maggior spazio sugli scaffali e non dava alcun valore aggiunto al consumatore. I produttori hanno provveduto ad eliminare la scatola, risparmiando ogni volta 2 centesimi, che sono stati decurtati dal prezzo di vendita e suddivisi tra Wal-Mart e i produttori stessi.

La seconda piccola ma geniale idea è stata esporre i prodotti presso i punti vendita lasciandoli sugli stessi pianali su cui vengono consegnati dai distributori al supercenter, evitando così di disfare gli imballaggi e riporre i prodotti sugli scaffali e disponendo invece la merce sui pianali posti direttamente sul pavimento, aggiungendo solo il cartellino del prezzo. In questo modo si risparmia tempo e si guadagna spazio nei punti vendita per l’esposizione di altra merce.

Due piccoli rivoluzioni che, insieme a molte altre, negli anni sono state adottate in tutto il mondo, e non solo da Wal-Mart ma anche in tutte le altre catene.
L’effetto Wal-Mart dunque tocca la vita di ogni americano, ogni giorno, perché Wal-Mart determina i luoghi dove facciamo la spesa, i prodotti che acquistiamo, i prezzi a cui li acquistiamo (anche per chi non acquista lì), il modo in cui vengono venduti e anche confezionati (esercitando pressione sui fornitori), la vita degli operai che li producono e addirittura le nazioni dove hanno sede le fabbriche.
Wal-Mart ha cambiato la natura stessa degli acquirenti e i criteri in base ai quali l’acquisto di un prodotto può essere generalmente definito “un buon affare”, in base ad una sola continua ed inesorabile legge: il continuo ribasso dei prezzi.

Al motto di every day low price, Wal-Mart ha rivoluzionato la grande distribuzione a tal punto da avere effetti misurabili sull’indice dei prezzi: ogni giorno negli USA Wal-Mart viene citato diffusamente in più di cento articoli o servizi diffusi in tutto il mondo e gli aggiornamenti sul suo fatturato sono ripresi dai principali notiziari perché questo dato è considerato un indicatore cruciale dei trend dell’intera economia statunitense.
Forte di un’immagine allegra e casereccia, di azienda fatta di gente comune e fortemente family-oriented, Wal-Mart si trova però oggi a dover rispondere all’opinione pubblica di alcuni “effetti collaterali” prodotti dalla propria espansione. Poiché i consumatori orientano le proprie decisioni d’acquisto sempre più in base a fattori intangibili ma importanti come le informazioni sulle aree del mondo da cui provengono i prodotti, i modi di produzione e la giusta retribuzione di chi li produce, Wal-Mart ha recentemente preso pubblicamente l’impegno ad aumentare i salari dei dipendenti, a farsi carico di probelmatiche ambientali e persino sociali (ad esempio ha provveduto a versare generose donazioni in occasione dell’uragano Katrina).

La grande catena deve dunque confrontarsi con gli interessi dei suoi shareholder, consumatori e stakeholder, tenendo conto dei vincoli delle responsabilità sociali.
A questo scopo, nel gennaio 2005 Lee Scott, CEO di Wal-Mart, ha lanciato un’aggressiva campagna nazionale per “correggere” le impressioni che gli americani hanno di Wal-Mart (in merito al modo in cui tratta dipendenti, fornitori, agli effetti sulle comunità locali etc.) e ha dichiarato: <Siamo leader globali nel monitoraggio delle condizioni lavorative nelle fabbriche dei nostri fornitori>.
E’ stata inoltre avviata la prassi di diffondere un report annuale sulle ispezioni effettuate da Wal-Mart negli stabilimenti di produzione in tutto il mondo e di comunicare al pubblico le performance del team addetto agli “standard etici”.

Effetto Wal-Mart. Il costo nascosto della convenienza

di Charles Fishman
Edizioni Egea , 2006,
ISBN 10: 88-238-3124-7
Pagg. 250
 


17-12-2006

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