Arrigo Cipriani, l'impresa è prima di tutto 
		cultura e libertà.
      Il figlio del fondatore dell'Harry's Bar 
		racconta ad Eccellere perchè chi copia un nome non passerà mai alla 
		storia: è lo stile che conta, e la libertà di lasciar fare ai clienti 
		quello che vogliono.  
      di Enrico 
		Ratto 
	
			
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				Arrigo Cipriani, 
				Proprietario dell'Harris Bar  | 
			 
	 
	"Quando c'è crisi, tutti vogliono i dolci" dice Arrigo Cipriani nel suo 
	libro "Harry's Bar. L'impresa, la ristorazione, la salute" (Spirali Editore) 
	"Quando c'è benessere, per reazione tutti chiedono i piatti tradizionali". 
	Da quando Giuseppe Cipriani ha fondato l'impresa nel 1931, la famiglia 
	Cipriani di crisi e momenti di benessere ne ha attraversati parecchi, per 
	questo viene definita un testimone del XX Secolo. Prima ha osservato la 
	storia e la cultura del secolo scorso dall'Harry's Bar di Venezia, poi ha 
	iniziato ad inaugurare locali a New York, e oggi il fatturato americano 
	supera di quindici volte quello italiano. Ma la famiglia non cede alle 
	lusinghe dei cambiamenti, né in cucina né al comando, e, dopo quarant'anni 
	di gestione, Arrigo Cipriani, figlio del fondatore, ha lasciato l'azienda 
	nelle mani del figlio Giuseppe. Ma Arrigo Cipriani, intervistato da 
	Eccellere, sembra aver perfettamente chiara la rotta da seguire perchè gli 
	affari continuino a crescere: viaggia ogni mese tra Venezia e New York e 
	dice "faccia pure come vuole..." a chi nel mondo apre un locale con il nome 
	Harry's Bar...  
	Signor Cipriani, che cosa rappresenta Harry's Bar per il mondo 
	culturale e imprenditoriale italiano?  
	Direi che sono testimoni del XX Secolo. Harry's Bar e la famiglia 
	Cipriani sono sempre stati a Venezia durante il secolo scorso, ci sono tutt'ora, 
	e tutti noi siamo stati dei grandi osservatori della storia, della cultura 
	mondiale: tra i nostri tavoli si sono seduti da Hemingway a Truman Capote, 
	famiglie reali, gran parte del cinema mondiale. Ma noi siamo sempre uguali, 
	non cambiamo nulla, dall'arredamento ai servizi, noi siamo dei testimoni. Lo 
	siamo stati per quasi un secolo a Venezia, e da qualche anno lo siamo nel 
	mondo, con i nostri locali americani, inglesi, sudamericani...  
	Quanti Harry's Bar esistono nel mondo? 
	Harry's Bar moltissimi, solo che non sono i nostri. Nessun altro Harry's 
	Bar al mondo è collegato al nostro di Venezia.  
	E' vero, allora... quanti locali di proprietà della famiglia Cipriani 
	esistono al mondo?  
	Molti. A New York abbiamo otto location, altre sono a Londra. Abbiamo 
	fatto dei tentativi di apertura in sud America, ma io credo che andrà molto 
	meglio in Brasile che in Argentina, per ragioni più che altro culturali. Poi 
	ci sono Miami, Los Angeles, Las Vegas, Mosca...  
	E a chi apre con il nome Harry's Bar, come vanno gli affari? 
	
			
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				"Harry's Bar. L'impresa, la ristorazione, 
				la salute", A. Cipriani (Spirali Editore)  | 
			 
	 
	Non credo bene, e comunque a noi non riguarda. Possono benissimo copiarci 
	il nome, non abbiamo mai fatto una causa per questo. Una cosa è copiare un 
	nome, un'altra è emulare ciò che si è. La dimostrazione c'è stata a New 
	York, dove anni fa un nostro locale è stato dato in gestione ad altri 
	imprenditori e dopo pochi giorni si è svuotato: i clienti cercavano lo stile 
	dell'Harry's Bar di Venezia, lo stile Cipriani, non cercavano la cucina 
	contaminata, e altre idee simili. Dopo tre anni, siamo dovuti tornare a 
	gestirlo direttamente: i clienti hanno impiegato due giorni per tornare. 
	Nel mondo i locali della famiglia Cipriani sono tutti uguali? 
	Nel metodo sì. Solo la
	Rainbow Room, al 
	sessantacinquesimo piano del Rockfeller Center ha altre caratteristiche 
	rispetto alla totale libertà della clientela. Chi viene a cena alla Rainbow 
	Room vuole godere della migliore visione di New York che si possa 
	immaginare, è un altro punto di vista, un diverso approccio al locale.  
	Tutti i locali fanno capo alla famiglia Cipriani? 
	Esatto. Esiste una capogruppo lussemburghese che fa capo alla nostra 
	famiglia, e che viene gestita per lo più da mio figlio Giuseppe, e poi molte 
	società che gestiscono i singoli locali, ogni locale una società. Le 
	attività americane fatturano circa 150 milioni, le italiane circa 10. Gli 
	Stati Uniti sono comunque il paese in cui stiamo investendo di più.  
	Chi è il protagonista del locale? 
	Il cliente, non certo lo chef. Non vado mai nei locali dove viene citato 
	il nome dello chef, i locali da "guida". Le guide, le stelle, guidano il 
	gregge, da anni siamo totalmente disinteressati alle classifiche. Gli 
	amanuensi delle guide non si intendono molto di "locali pubblici", magari di 
	cucina sì, ma stare bene in un locale non significa solo mangiar bene, 
	quello è solo l'inizio. Personalmente, sarei per un elenco telefonico...  
	E il servizio? 
	Il servizio è bravo finché nessuno dice che è "bravo". Per quanto 
	riguarda il personale, esso rappresenta una parte importante della nostra 
	azienda, e anche la loro gestione è complessa e differente da paese in 
	paese. In Italia è quasi patologica, il costo del personale rappresenta il 
	47%, contro il 32% dell'Inghilterra e il 39% di New York, dove comunque i 
	sindacati ci sono.  
	Il vostro business sarà sempre legato alla ristorazione?  
	Alla ristorazione e agli alberghi. Non facciamo più solo ristorante, 
	ormai tutte le nostre nuove attività contemplano un ristorante e un albergo. 
	Sono i modelli che stiamo portando avanti a Miami, Los Angeles, Las Vegas, 
	Mosca, San Paolo.  
	Una capogruppo in Lussemburgo, attività in tutto il mondo. Continuate 
	a considerarvi italiani?  
	Ci consideriamo super - italiani. E' un fatto di DNA del gusto: il gusto 
	italiano è quello che più si avvicina al gusto mondiale, in fatto di cucina. 
	Per questo non abbiamo mai ceduto alle lusinghe delle rivisitazioni della 
	cucina italiana. Una pastasciutta va mangiata calda, non presentata fredda 
	come una scultura nel piatto, questo è un fatto condiviso in tutto il mondo 
	e da tutte le popolazioni. Per questo siamo tradizionali, e lo saremo 
	senz'altro ancora a lungo.  
	Harry's Bar e la famiglia Cipriani non si allontanano dalle origini? 
	Le culture prese a prestito non hanno senso, sono fuori dalla storia 
	dell'uomo. Vede, io ho fatto molto karate, e il problema è mantenere sempre 
	il contatto con la base, altrimenti anche uno bravo a fare a pugni, se si 
	dimentica questo, cade. Anche quando si è molto bravi, bisogna sempre 
	tornare alle origini. E all'estero questo viene apprezzato.  
	Lei è molto bravo? 
	Chi ha inventato tutto è stato mio padre, gli altri sono solo esecutori. 
	E' stato lui il grande maestro.  
	5-Giu-2008 
      
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