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Il difficile cammino verso il cambiamento

Nei momenti di transizione, la gestione del cambiamento rappresenta una leva potente in grado di dare significativi vantaggi competitivi alle organizzazioni: i cambiamenti vanno però sempre definiti in sintonia, e in un quadro di coerenza generale, con l’ambiente e la cultura in cui vanno ad innestarsi.

di Giuseppe Fumagalli

I momenti di “passaggio” sono sempre spinti e dominati dalla complessità: complessità nei modi e nella tempistica, che caratterizzano quegli snodi fondamentali che si susseguono nella vita personale come in quella delle organizzazioni.
Il passaggio da una società industriale centrata sulla produzione di beni materiali ad una post-industriale basata sulla conoscenza e su valori immateriali e immaginifici, gli “intangibles”, è ancora in una fase di assestamento e di chiarificazione ed è tuttora difficile prevederne in modo puntuale e ben definito esiti, rivolgimenti e ricadute nelle organizzazioni e nelle aziende.

Confrontando un libro uscito recentemente sulle organizzazioni a rete, nel quale si introduce la metafora della “stella marina” che sopravvive e si rigenera anche senza la testa, con un volume del 2005 di uno dei mostri sacri del management, riguardante la persistente necessità e centralità delle gerarchie nelle organizzazioni e del cosa fare per renderle migliori, viene spontaneo chiedersi: le organizzazioni sono destinate ad essere e rimanere gerarchiche o, in qualche modo, si avviano a diventare organismi più “destrutturati”, al di là delle indicazioni flat o lean che a volte sono e rimangono solo delle etichette?
Personalmente non considero il management e l’organizzazione aziendale delle scienze esatte: oltre al canonico “dipende...” legato alle contingenze che occorre sempre tenere presente, mi è rimasto impresso un episodio di alcuni anni fa con l’allora Aministratore Delegato di McKinsey Italia. Di fronte alla mia perplessità per avere proposto, a distanza di pochissimi anni, soluzioni diametralmente opposte riguardo alla ristrutturazione della medesima area aziendale, parlava di “teoria del pendolo”.

Nel mondo delle organizzazioni, l’ambiguità e ancor più l’ossimoro sono ormai diventati convitati stabili: occorre esercitare l’autorità e allo stesso tempo favorire l’empowerment dei collaboratori; si favorisce l’uscita anticipata di persone con esperienza e si lanciano programmi di knowledge management per catturarne le conoscenze; si punta sui talenti e si deve favorire il lavoro di gruppo; si deve stimolare la condivisione dei valori che costituiscono la cultura aziendale e nel contempo gestire il diversity management.

Davvero la struttura organizzativa aziendale a piramide risulta ancora così centrale pur nel panorama dell’era attuale, e la gerarchia prospera perché, in fin dei conti, funziona? Meccanismo rafforzato dalla combinazione sempre più stretta e accelerata fra tecnologia e organizzazione, oggi ancora più esteso e profondo.
O, per contro, le innovative “stelle marine” organizzative prive di una struttura centralizzata e caratterizzate da unità operative indipendenti, stanno davvero soppiantando le strutture a “ragno” (per mantenere le due metafore del libro sopra richiamato) basate sulla gerarchia e su una articolata catena di comando e controllo?

Ritengo, come già detto all’inizio, che le organizzazioni e le aziende si trovino in una fase di passaggio, che richiederà altri assestamenti nelle pratiche di management e di gestione delle variabili e dei meccanismi organizzativi. Forse va riscoperta una certa “frugalità organizzativa e gestionale” per depotenziare la crescente complessità dei problemi da affrontare e per rappresentarne, in qualche modo, l’antidoto.

L’aureo detto “in medio stat virtus” potrebbe avere ancora oggi qualcosa da insegnare agli organizzatori e ai manager.
Agli organizzatori, nella limitazione di talune troppo brusche accelerazioni e fughe in avanti, e nella semplificazione di meccanismi operativi a volte un po’ astrusi rispetto alla realtà aziendale: la velocità di un convoglio (aziendale) che non tenga conto della velocità più bassa di quello dei mezzi (pezzi di organizzazione) che lo compongono, rischia di creare distanze e scollamenti interni.
Ai manager, nel focalizzare maggiormente l’attenzione sui propri valori personali soft: in modo da avere meno... “one minute managers”, ricchi solo di strumenti e metodologie, e più “uomini”, con le loro passioni ed emozioni, che sappiano avere cuore e polso fermo nel determinare la ”rotta” delle aziende e delle organizzazioni e nel gestire il patrimonio intellettuale delle persone che vi lavorano.

 

08-Ago-2007

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