Quando le competenze desiderate non possono essere delegate
esclusivamente all’esterno, ma devono essere garantite da una struttura
interna in grado di assicurare un migliore allineamento tra strategie
aziendali e sviluppo delle competenze.
di
Giuseppe Fumagalli
Con
“l’eclissi” delle principali scuole di management nell’ambito dei grandi
gruppi italiani privati e a partecipazione statale, a fare scuola in questo
campo sono state a lungo le società di consulenza e di formazione, in
particolare quelle di matrice americana.
Col risultato di una omologazione culturale che ha contribuito ad appiattire
le realtà industriali, nel momento in cui le aziende avrebbero avuto bisogno
di maggiore innovazione e creatività competitive, per valorizzare il
“capitale intellettuale” costituito dalle persone che vi lavorano e reggere
la sfida della “complessità” interna ed esterna che si trovano a dover
affrontare: complessità di mercato, di business, tecnologica, di gestione
delle persone, in particolare la categoria dei knowledge workers che sono
andati via via aumentando e acquisendo importanza.
La nascita e l’espandersi delle Corporate Universities in Italia,
dove oggi se ne contano una ventina a fronte di una presenza molto più
massiccia negli altri paesi industrializzati, ritengo sia una risposta anche
a questo “vuoto” nelle aziende e andrebbe inquadrata in questa ottica:
andrebbero sempre valutati i problemi complessivi che le organizzazioni
hanno davanti, altrimenti si corre il rischio di fare come il Tom Hanks di
Forrest Gump che passa di fianco a tutti i grandi avvenimenti senza
rendersene conto.
Le Corporate Universities sono ancora viste prevalentemente in chiave di
formazione pur se di alto livello, con al più legami col mondo
universitario, business school e società di consulenza in modo da creare
network: ed allora l’attenzione si focalizza sulle novità formative
esperienziali fuori dall’aula, sull’e-learning e su altri fattori di
“contorno”, perdendo di vista che il tema forte per le aziende è oggi quello
di presidiare in modo globale il “ciclo della conoscenza”.
In questo ciclo, la formazione è solo una fase dell’intero processo,
finalizzato a gestire in chiave di evoluzione strategica e di integrazione
le conoscenze e le capacità delle persone con le innovazioni tecnologiche,
in modo da creare quel vantaggio competitivo nelle aree di know-how core per
l’azienda che permette di raggiungere livelli di eccellenza negli obiettivi
di business.
Ciclo della conoscenza che si snoda attraverso due aree di attività
tradizionali, pur se riviste in modo innovativo, delle Human Resources come
recruitment e formazione, ed un segmento nuovo che in Italia stenta a
decollare o quanto meno ad essere compreso in tutta la sua potenzialità: il
knowledge management inteso come modalità di gestione e di migliore utilizzo
di quei “lavoratori della conoscenza”, o knowledge workers secondo il
termine originariamente coniato nel mondo anglosassone, che rappresentano
l’asset strategico per quelle imprese che a seguito della globalizzazione e
della delocalizzazione produttiva devono essere sempre più in grado di
presidiare e gestire i segmenti di processo ad alto contenuto di know-how
tecnologico, gestionale e manageriale.
La Corporate University si trova così a rivivere la stessa evoluzione già
seguita dalla Direzione del Personale: da fornitore di “servizi”, nella
fattispecie la formazione come settore iniziale di elezione, a partner
strategico delle aree di business, cui si affianca e supporta nel
reperimento e inserimento in azienda dei potenziali “talenti” , nello
sviluppo professionale delle persone finalizzato all’eccellenza
nell’efficacia dei processi, attraverso una formazione sempre più attenta ai
contenuti ed alle finalità che non alle modalità di fruizione, e nella
trasformazione delle conoscenze individuali in “sapere organizzativo”.
Questa evoluzione ed integrazione del ruolo delle Corporate Universities
viene quindi ad interessare anche il tradizionale settore formativo.
La gestione e valorizzazione della conoscenza nelle aziende, con i
sistemi di knowledge management, è realizzata attraverso “reti”, anche
virtuali utilizzando gli strumenti ICT, di peers che operano in campi
di sapere omogeneo o su fasi comuni del macroprocesso aziendale: e qui
entrano in gioco elementi soft come la fiducia, “l’ascolto”, la conoscenza,
il riconoscimento delle capacità.
Si può ipotizzare un analogo trend anche per quanto riguarda la
formazione? Oggi l’apprendimento è ancora centrato sul docente, e nei corsi
aziendali, con un approccio top-down, è sempre difficile riscontrare una
partecipazione “attiva”; in una “azienda rete”, nella formazione si imparerà
sempre più dai colleghi di lavoro attraverso meccanismi di condivisione
della conoscenza e di “emulazione”, con un approccio “laterale”, dove il
docente viene ad assumere un ruolo di “regia leggera”. Nell’era della
conoscenza, la formazione nelle Corporate Universities potrebbe trasformarsi
in un Giano bifronte: insegnare a chi ne sa di meno, imparare da chi ne sa
di più.