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Il Knowledge Management: dall’efficienza all’innovazione

Il successo di qualsiasi organizzazione nella competizione globale è oggi basato fortemente sul management strategico della conoscenza. Giuseppe Fumagalli, che in Eni si occupa di queste tematiche, ci spiega come l’impiego efficace delle conoscenze interne ed esterne dell’organizzazione consente di incidere concretamente sulla catena del valore e sull’innovazione.

di Tiziana Campanella

La società della conoscenza: ci piacerebbe poterla vedere cosi la nostra società, come un sistema di vasi comunicanti nel quale ognuno di noi riceve e trasmette il sapere, per ritrovarsi alla fine un pò più ricco professionalmente.
E’ questa l’essenza del Knowledge Management (KM) come ci racconta l’ing. Giuseppe Fumagalli, esperto di organizzazione e management e di temi inerenti all'area human resources. In Eni dal 1979, attualmente Fumagalli si occupa di temi legati al knowledge management, ovvero a quella che possiamo ben definire una nuova frontiera nella gestione delle risorse umane.
Consapevoli del fatto che il capitale intellettuale e le persone che lo detengono sono la risorsa chiave, l’asset veramente strategico nella new economy, molte organizzazioni, specialmente quelle pronte ad adattarsi all’evoluzione del business, stanno adottando politiche innovative per la gestione del proprio patrimonio di conoscenze al fine di “valorizzarlo”, per l’azienda e per le persone stesse.

Qual è il suo punto di vista sulla diffusione del knowledge management nel panorama imprenditoriale italiano? Si tratta di un fenomeno ristretto a pochi casi eccellenti o è una prassi ormai generalizzata per imprese di qualunque dimensione?


Giuseppe Fumagalli

Il knowledge management, o meglio la “gestione della conoscenza” che secondo me ha una accezione più ampia pur se usata anche come traduzione dell’espressione inglese, è un prisma sfaccettato. Per l’esperienza e la conoscenza dell’argomento che mi sono fatto parlando con società di consulenza, nel panorama imprenditoriale italiano troviamo approcci e soluzioni molto diversi, in imprese di dimensioni e tipologia differente, che affrontano il tema da angolazioni specifiche o parziali.
E’ più difficile trovare esempi di interventi “completi”, che affrontino in modo integrato e sinergico i diversi aspetti: legati alle persone, in primo luogo, oltre che alla tecnologia e all’organizzazione. Ritengo sia un campo in cui le aziende italiane debbano recuperare un qualche ritardo, in quanto la “conoscenza” può diventare un reale fattore di vantaggio competitivo per le sfide di innovazione e competitività che si trovano ad affrontare.

Quali ritiene siano le motivazioni, i bisogni e le aspettative che possono spingere un’azienda ad attivare interventi e a realizzare sistemi di KM?

Una breve premessa: il KM è nato nelle società di consulenza, che lo hanno sperimentato, con successo, al loro interno per poi rivolgersi al mondo industriale. Questo per sgomberare il campo da dubbi relativi alla sua applicabilità solo in determinate tipologie di aziende o, all’interno, in alcune aree: è la “società della conoscenza” che richiede di gestire con maggiore oculatezza questa “risorsa” strategica, unita alla progressiva importanza che hanno assunto i knowledge workers – per usare l’espressione coniata da Peter Drucker – all’interno delle aziende. Direi che l’obiettivo principale è quello di valorizzare il “capitale intellettuale” e di incidere sulla catena del valore, attraverso l’innovazione e la “sostenibilità” nel tempo dei risultati aziendali.

Il capitale umano viene spesso dichiarato dalle aziende il fattore chiave per il successo competitivo: quando un’impresa è pronta ad avviare specifici interventi di KM finalizzati a sistematizzare, valorizzare e patrimonializzare la conoscenza?

Le persone fanno sempre più la differenza: le Direzioni HR lo dicono, a volte facendo poi seguire comportamenti poco coerenti, ma sono i responsabili dei risultati di business che verificano operativamente il fatto. Si potrebbe dire che un’impresa è tanto più “pronta” ad attuare iniziative di KM quanto più si rende conto che le regole del gioco sono profondamente cambiate, e che l’eccellenza dei risultati non rappresenta più una sinecura ma un processo dinamico in cui rimettere continuamente in gioco tutti i fattori che possono influenzarlo e determinarlo. Poi esistono comunque quelli che potremmo definire “fattori abilitanti” alla sua attivazione: l’ICT, l’aver ottimizzato i processi aziendali e altro.

Quali sono, a suo parere e secondo la sua esperienza, le resistenze maggiori che si possono incontrare nell’implementazione di un sistema di KM e come si possono superare?

Le resistenze maggiori sono di natura culturale. Parliamo della conoscenza implicita o “tacita” – la parte nascosta dell’iceberg, potremmo definirla – posseduta dai knowledge workers, il segmento più potenzialmente ricco di ricadute per l’azienda: queste persone sanno bene di “valere” per quanto “conoscono”, concetto che non ha niente a che vedere col vecchio adagio manageriale “la conoscenza è potere”. Cosa li può portare a decidere di “cedere” questa loro conoscenza all’azienda? Tendenzialmente solo una serie di cambiamenti culturali: a livello organizzativo, nella gestione delle persone e a livello di individuo, in modo da fare emergere quel “valore della condivisione” che non è premiato nella scuola e neppure nei sistemi di MBO delle aziende.
La molla che innesca il processo deve quindi essere la motivazione: ogni altro “surrogato” tenderebbe ad allungare fatalmente la lista degli insuccessi, o dei parziali successi, che a livello mondiale è stata valutata di oltre il 60% dei casi di KM attivati.

Creano maggiori difficoltà all’implementazione del KM i vincoli tecnologici di tipo hard o quelli soft attinenti al profilo culturale, socio-organizzativo?

Come sempre, i vincoli hard sono un problema di iniziative e di budget. I vincoli soft che lei richiama riguardano le persone, con tutta la complessità che questo comporta.

Knowledge management e change management: sono due facce della stessa medaglia?

E’ questione da intendersi. L’uomo, per sua natura, tendenzialmente non ricerca e non accetta facilmente il cambiamento: e abbiamo visto che il KM richiede un forte cambiamento nei comportamenti e, di riflesso, organizzativo e gestionale.
Il change management diventa quindi il supporto indispensabile al processo, principalmente negli aspetti formativi e di comunicazione. Rappresenta il fertilizzante che consente alla piantina della conoscenza di attecchire e crescere: senza, rischia di inaridire, come può succedere anche se manca un forte e costante committment da parte del top management.

In che modo i processi di KM possono migliorare le performance aziendali? Come incide il KM sulla catena del valore?

In modi diversi. Già l’evitare di ripetere gli errori commessi e il non disperdere energie e competenze per affrontare problemi già risolti porta un sicuro vantaggio economico. Ma il vero “moltiplicatore” che la conoscenza può avere sulla catena del valore, lo si ha quando incide sull’innovazione nei suoi vari aspetti: tecnologica, di processo, di prodotto, gestionale, manageriale. Il KM ritengo possa migliorare le performances molto più nelle aree e nei processi gestionali che non in quelli prettamente tecnici, in genere campo privilegiato di applicazione oggi: non fosse altro perchè lì si hanno i maggiori margini di potenziale miglioramento.

E’ possibile misurare il ritorno sull’investimento del KM?

E’ uno dei problemi aperti, ma ritengo che in parte sia possibile, anche se in modo differenziato: nelle aree tecniche i ritorni misurabili possono essere più quantitativi, in quelle gestionali più qualitativi. Si ripete quindi, con una analogia abbastanza grossolana, la problematica che si presenta anche per la formazione. La “misurazione” richiede comunque un attento processo di monitoraggio e reporting, individuando gli indicatori, i KPI, più adatti.

Quali sono gli strumenti attualmente più utilizzati per supportare il processo di KM?

E’ difficile rispondere in termini generali, in quanto dipende dall’approccio che le aziende utilizzano: se fortemente tecnico, ha i punti di forza negli strumenti ICT e nei data base; se più organizzativo, utilizzerà workflows operativi di processo coerenti con il sistema della conoscenza. Quando l’attenzione è invece maggiormente centrata sulle persone, gli “strumenti sociali” sono i più efficaci: le “Comunità di Pratica”, CoP come acronimo dall’inglese, sono persone di famiglie professionali omogenee che operano per consolidare, mantenere aggiornate e diffondere le specifiche conoscenze aziendali.
Le CoP sono quindi “reti virtuali” di knowledge workers, ovunque dislocati e operanti, che rappresentano un “sistema organizzativo” non basato sulla gerarchia ma sulla conoscenza: si possono considerare una efficace risposta alle esigenze di “lean organization” estremamente snella e flessibile. Ma costituiscono un grosso cambiamento in termini organizzativi: richiedono una “integrazione” con il sistema azienda, al fine di avere una sinergia che permetta il massimo dell’efficacia generale di sistema, che passa anche attraverso una “rivoluzione culturale” nel middle management.
Ritengo che le CoP costituiscano una grossa opportunità per le aziende, ma siano un tema ancora poco compreso dalle Direzioni HR negli effetti di “accelerazione al cambiamento” che possono avere: con l’esigenza, inoltre, di presidiare in modo innovativo e differenziato problematiche come la motivazione, la trasparenza delle regole, la fiducia.

Quali saranno secondo lei gli sviluppi futuri del KM?

Una possibile evoluzione potrebbe essere quella di legare maggiormente conoscenza a innovazione sul piano aziendale, e a creatività, imprenditorialità e leadership diffusa a livello personale dei knowledge workers, in modo da innescare un circolo virtuoso che agisca sulle performances di sistema e sulla catena del valore globale. I processi di KM possono in definitiva contribuire a realizzare quella learning organization di cui si a volte si legge sui libri di management senza poi molti agganci al reale.
Vorrei chiudere con una immagine decisamente evocativa che richiama la reale essenza del KM: se io e lei ci scambiamo una moneta, rimaniamo con una moneta; se ci scambiamo un pezzetto di conoscenza, ce ne andiamo con due pezzetti di conoscenza ciascuno.

16-Mag-2007

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