Il processo di selezione. Cinque modi
infallibili per demotivare i candidati.
Abbondano i libri e i siti web che
forniscono consigli ai candidati per affrontare bene un colloquio di
lavoro. Ma pochi si soffermano sui possibili errori che possono
commettere le aziende, causando spesso la fuga dei candidati migliori.
di
Guido Lorenzetti e
Barbara Principi
Il processo di selezione è appunto un processo, nel senso che si sviluppa
lungo un percorso più o meno normatizzato da abitudini o procedure
aziendali, per arrivare ad una conclusione, con la scelta di un candidato
interno od esterno. Il modo in cui questo processo viene condotto in ogni
suo passaggio ha un effetto anche qualitativo sul raggiungimento
dell’obiettivo: reclutare le persone di cui l’organizzazione ha bisogno.
Sempre di più l’organizzazione cerca di attirare persone di valore: i
vincoli legislativi sul lavoro, che irrigidiscono il sistema, la difficoltà
di intervenire su attitudini e abitudini già consolidate nelle persone
assunte stabilmente, la competizione che chiede eccellenza di competenze
spingono gli imprenditori ed i loro manager a cercare di evitare per quanto
possibile di accontentarsi o peggio di fare errori.
Tuttavia non sempre i protagonisti aziendali del processo di reclutamento
e selezione tengono presente che la fase dell’incontro con i candidati è un
momento significativo non solo per le valutazioni del selezionatore, ma
anche per i candidati stessi, soprattutto se hanno profili appetibili e ne
sono consapevoli: come qualcuno ha giustamente detto, non c’è una seconda
possibilità per fare una buona prima impressione e questo vale per entrambi
gli interlocutori. Infatti non solo il candidato dovrebbe preoccuparsi della
propria immagine, ma anche l’azienda.
Nella nostra esperienza, questo processo diventa spesso un fiume carsico.
Inizia, scorre impetuosamente, rallenta, sparisce, riappare, non sa dove
andare, si arena. Insomma, molta dispersione e molta inefficienza.
Ma cosa ancor più grave, i candidati, soprattutto i migliori, si
demotivano e talora scappano.
Naturalmente non è obbligatorio che le selezioni abbiano questo
andamento. Tuttavia è frequente che in azienda si cambi idea, o cambino le
priorità, o vengano dei dubbi sulla natura della posizione cercata, anche in
seguito all’esame delle prime candidature viste.
Qui non tratteremo gli aspetti più tecnici della selezione, come le
modalità di colloquio e di valutazione, ma solo quelli organizzativi.
Precisiamo inoltre che ci siamo prevalentemente occupati della selezione di
dirigenti e quadri, meno di giovani al primo impiego, ma credo che le
situazioni siano molto simili. Infine, è opportuno sottolineare che la
società incaricata della selezione può avere un ruolo di ‘protezione’ dei
candidati, mentre se la ricerca è diretta da parte dell’azienda, le buone o
cattive abitudini aziendali non sono mediate da nessuno.
Vorremmo qui esaminare il processo dal punto di vista dei “processati”, e
rifarci nuovamente alla nostra esperienza per formulare una specie di ‘pentalogo’.
Ovviamente di modi per demotivare le persone durante gli incontri non ce ne
sono solo 5; in questo senso la capacità umana di produrre variazioni sul
tema della relazione è infinita, ma per carità d’azienda cerchiamo di
concentrare il discorso sulle modalità che più frequentemente ci è capitato
di incontrare.
1) Ricevere i candidati in ritardo rispetto all’ora stabilita.
Mentre i candidati sono quasi sempre puntuali, i loro interlocutori sono
molto spesso in ritardo, e spesso per più del quarto d’ora accademico. E’
inutile sottolineare che questa ‘pessima abitudine’ (da ‘Arsenico e Vecchi
Merletti’) costituisce la prima macchia all’immagine aziendale, e il primo
colpetto di demotivazione. Ricordiamo ad esempio il caso di una ricerca
difficile, in cui una brava candidata, presentata ad una grande
multinazionale, fu lasciata in una saletta per più di un’ora oltre l’orario
stabilito, senza notizie nè generi di conforto: si alzò e se ne andò. E’
così difficile organizzare gli appuntamenti in modo che le persone non
aspettino? Se è vero che le cose si riescono a fare solo quando se ne
percepisce tutta l’importanza, dovremmo forse domandarci se in questo caso
quell’attività e quella persona fosse ritenuta davvero una priorità.
2) Mettere il candidato a proprio disagio.
Abbiamo visto persone compilare tristi questionati, in cui riscrivevano
informazioni già ampiamente presenti nel curriculum, sedute su seggiole
fantozziane in bugigattoli di dimensioni tali da non essere accettati dalla
Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra. Speriamo che nel prossimo
futuro, con il diffondersi delle procedure di trasmissione dati via
internet, i Fantozzi siano tutti in pensione. Per altro ci sono anche coloro
che sono convinti che mettere a disagio sia una tecnica di selezione utile
per misurare la capacità di “sostenere lo stress”. Il nostro consiglio è di
ricordarsi che l’obbiettivo degli incontri è scambiarsi reciprocamente e -
se ci si riesce - trasparentemente quante più informazioni possibili per
arrivare ad una decisione, il che avverrà da entrambe le parti. Produrre
tensione distorce soltanto la comunicazione.
3) Far tornare varie volte i candidati.
Va bene se si tratta di un approfondimento della conoscenza. Va meno bene
se l’obbiettivo è quello di farli incontrare con persone diverse
dell’azienda. Non si potrebbero concentrare questi incontri nella stessa
giornata? In fondo il candidato deve assentarsi ogni volta dal proprio posto
di lavoro, o comunque ci sta dedicando del tempo, una risorsa percepita come
sempre più preziosa. Un paio di volte, alcuni candidati hanno rinunciato a
tornare in azienda per la terza o quarta volta. E comunque, anche se non
rinunciano, la loro motivazione certamente non aumenta.
Quando i selezionatori sono più di uno, vale il principio di organizzare un
solo colloquio anche con più intervistatori, piuttosto che colloqui con ogni
singolo manager o responsabile, che impegnano azienda e candidato per
giornate intere.
4) Sospendere, o far slittare la decisione circa l’assunzione, senza
informarne gli interessati.
Se una persona è stata intervistata, e non ha dato o ricevuto un feedback
immediato (del tipo: la posizione non mi interessa, oppure, la sua
candidatura non è adatta) è evidente che questa informazione dovrebbe essere
data entro un tempo ragionevolmente breve. Ogni tanto però il processo di
selezione si imballa, per i più svariati motivi, e ci si vuole ‘pensare su’.
Il che può essere correttissimo, ma ai candidati qualcuno glielo dovrebbe
dire. Quando seguo io una selezione, provvedo spesso a sollecitare una
simile informazione, ma negli altri casi? Possibile conseguenza: la solita,
perdita di motivazione.
5) Finalmente la selezione si chiude: uno viene assunto, e gli altri?
Vale, parzialmente, quanto già detto al punto 4. L’unica differenza è che
adesso i candidati scartati non ‘servono’ più. A parte il fatto che possono
‘servire’ alla prossima occasione, l’informazione tempestiva circa l’esito
della selezione è indispensabile per il mantenimento dell’immagine
aziendale. Un vantaggio di avere una buona fama verso i potenziali candidati
è l’aumento delle candidature spontanee e qualificate, che può semplificare
di molto le ricerche successive.
Anche nel rapporto i candidati, soprattutto quelli della short list, valgono
i principi del marketing, per cui se uno ha una cattiva esperienza lo dirà
ad altre 9 o 10 persone secondo il terribile meccanismo del passaparola.
Proprio di questi tempi, in cui le aziende fanno di tutto per essere
attrattive verso i talenti.
Pensiamo che nella maggior parte dei casi questi mancati riscontri si
debbano a disguidi, mancanza di tempo, qualche disfunzione organizzativa. Ci
auguriamo veramente che non vi sia da parte di nessuno, in nessuna azienda,
la sensazione che ci si possono ‘permettere’ comportamenti del genere, vista
la sproporzione fra chi cerca un posto e chi lo offre. Oggi, e sempre di
più, le aziende sono valutate dall’opinione pubblica anche per la loro ‘eticità’,
e la tempestività con la quale queste informazioni sono inviate ai candidati
non assunti ne rappresenta certamente un aspetto.
Una buona impostazione di alcuni strumenti informativi, persone qualificate
e puntuali nel seguire le varie fasi, una gestione meno affannata degli
appuntamenti crediamo siano gli elementi che possono molto aiutare ad
eliminare gran parte degli effetti di cui abbiamo parlato.
04-Mag-2008
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