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Employer branding: come accrescere la reputation
e attrarre i talenti
Le strategie e gli strumenti adottati
dalle aziende di successo per promuovere l’immagine aziendale verso i
propri dipendenti e i potenziali candidati: le testimonianze dal mondo
accademico e aziendale in un seminario di Business International.
di
Tiziana Campanella
Se
una volta le aziende potevano concedersi “il lusso” di scegliere i migliori
talenti, oggi la situazione è differente: invertendosi i rapporti di forza sul
mercato del lavoro, sono i talenti a scegliere l’azienda in cui
lavorare, spesso attratti più da beni immateriali (cultura aziendale,
valori, stile manageriale, opportunità di crescita e carriera, work life
bilance, responsabilità sociale d’impresa,…) che da benefici materiali
(benefit, stipendi elevati,…).
Da qui è nata l’esigenza per le organizzazioni di adottare nuovi
approcci e strategie nella gestione delle risorse umane, a partire dall’Employer
Branding: politiche di attraction e retention dirette alla
costruzione e comunicazione di un’immagine aziendale forte, attraente,
distintiva e coerente con l’identità d’impresa, per diventare “ideal
employer” sia per i potenziali candidati sia per i dipendenti stessi.
Di questo tema si è discusso al seminario “Employer branding - Strategie
per promuovere l’appeal aziendale verso il mercato interno ed esterno”,
organizzato a Roma nel dicembre scorso da Business International, che ha
avuto come protagoniste Elica, Procter & Gamble, Autostrade per
l’Italia e Philip Morris, distintesi nel panorama imprenditoriale
per l’applicazione di efficaci strategie di employer branding.
Pur nella loro diversità di esperienze, queste aziende partono tutte dal
medesimo presupposto: le persone, siano essi dipendenti o potenziali
lavoratori, meritano la stessa attenzione che l’azienda pone nei confronti
dei propri clienti. “L’employer branding, in fondo, è proprio l’arte di
creare reputazione - ha detto Patrizia Cangialosi, Talent Supply Manager in
Procter & Gamble - quando infatti queste politiche funzionano, si crea un
feeling, un love mark che tocca la mente e il cuore del target, si rafforza
la percezione del valore dell’azienda come un luogo desiderabile in cui
lavorare”. Quanto più il brand è chiaro, unico, speciale, vero, tanto più
esso riuscirà a suscitare emozione, desiderio di appartenere a quella
azienda. L’emozione genera motivazione e questa, a sua volta, attiva,
indirizza e sostiene i comportamenti organizzativi nel corso del tempo: le
risorse sono motivate quando si riconoscono nella cultura aziendale come
rispondente alle aspettative qualitative che la rendono unica e distinta dai
competitors.
Cultura, comunicazione, motivazione: queste sono le parole chiave del
processo di employer branding. Lo ha spiegato Marco Stancati, Docente
di “Comunicazione interna e intranet e pianificazione dei media” presso La
Sapienza di Roma e moderatore dell’incontro, che ha inquadrato il fenomeno
dell’employer branding nel contesto della comunicazione organizzativa. “Una
buona comunicazione organizzativa infatti è la prima condizione per la
riuscita delle politiche di employer branding”, ha chiarito Stancati.
Infatti, trattandosi proprio di una pratica di comunicazione, “anche sotto
il profilo dell’ottimizzazione costi/benefici, l’employer branding è
strettamente correlato alla qualità della comunicazione organizzativa tra le
diverse funzioni aziendali”.
Tutte le aziende intervenute al workshop hanno posto in primo piano
l’importanza della interazione tra le diverse funzioni aziendali, in special
modo HR, Formazione, IT, Marketing e Comunicazione, nello sviluppo delle
politiche di attraction e retention. Non solo per meglio sfruttare le
sinergie e le competenze interne di marketing, ma anche per evitare
qualsiasi soluzione di continuità tra i messaggi trasmessi all’esterno e la
comunicazione interna. Verità e coerenza, infatti, devono sempre essere
costanti da rispettare perchè l’employer branding abbia successo.
Come è emerso dal dibattito, le aziende affrontano oggi le strategie di
employer branding in modo più sistematico e proattivo rispetto al passato,
con una visione a lungo termine. In Procter le strategie, i processi e i
materiali sono gestiti centralmente in Europa e applicati poi ai vari paesi.
In Philip Morris vengono definite delle linee guida a livello sovranazionale
(con la compartecipazione delle affiliate), per lasciare poi margini di
creatività alle divisioni nazionali.
Si parte quasi sempre da una serie di analisi dettagliate sia interne che
esterne per capire come viene percepita l’immagine aziendale sul mercato del
lavoro e conoscere il suo posizionamento. La parte creativa del processo,
che ne rappresenta un po’ il cuore, è quella successiva in cui si definisce
l'employer brand promise o
employer value proposistion (EVP), l’essenza di ciò che l’azienda può
offrire al suo target di riferimento. In questa fase l’azienda costruisce la
propria immagine differenziando la propria offerta da quella degli altri
concorrenti e comunicando in modo appealing cultura, valori e opportunità
che più la distinguono in quel momento. Ad esempio Procter & Gamble, nello
sforzo di rendere l’immagine aziendale quanto più aderente alla cultura e ai
valori aziendali, ha modificato varie volte dal 2000 il proprio EVP e oggi
ha individuato nella poliedricità, flessibilità e dinamicità i valori
distintivi in cui tutti i dipendenti si riconoscono; ha quindi tradotto
questa promessa in una serie di iniziative rivolte sia agli studenti (P&G
Career Academy) sia ai dipendenti (Flexible Work Arrangements).
Una volta creato il piano di comunicazione, si attivano gli strumenti e,
infine, si misurano i risultati per valutare l’efficacia delle azioni
approntate. Per quanto riguarda le modalità di comunicazione e gli strumenti
maggiormente utilizzati, Stancati ha sottolineato: “L’importanza del
contesto socio-comunicativo e dei canali più contemporanei di contatto,
equilibrando costantemente il mix tra comunicazione calda e comunicazione
fredda”.
Quanto più si va a precisare il target che si vuole colpire, tanto più
diventa essenziale centrare gli strumenti: e allora, ben vengano la carta
stampata e le riviste patinate se il target è di nicchia, ma largo spazio ai
canali non convenzionali (Youtube, blog, forum, intranet, recruiting site,
ecc.) accanto a quelli tradizionali (Università, stampa) quando vogliamo
avere un impatto forte a livello di emozioni. “Senza dimenticare poi che i
potenti mezzi messi a disposizione dalla tecnologia consentono di abbattere
notevolmente i costi della comunicazione tradizionale, con un vantaggio non
indifferente quando il budget è ristretto” ha aggiunto Stancati, che ha
fatto anche cenno sulla possibilità di far produrre i contenuti del
messaggio ai destinatari del messaggio stesso (user generated content).
Piuttosto che ingaggiare costose agenzie di consulenza, le aziende possono
sfruttare la creatività di giovani talenti, che ne rappresentano il target,
selezionati ad hoc per creare in partnership con le funzioni aziendali le
campagne di comunicazione.
Un esempio ben riuscito di user generated content è stato presentato da
Francesca Tassi, Responsabile Piani di Sviluppo di Autostrade per l’Italia,
che ha illustrato il recente lavoro di restyling dell’area “Lavora con noi”
del sito web aziendale www.autostrade.it. Con questo progetto, tuttora in
fase di realizzazione, l’azienda si è posta l’obiettivo di rendere il
proprio brand più attraente e appetibile per i talenti che si trovano a
visitare il sito. Per capire cosa e come comunicare nella ricerca dei
migliori potenziali si è avvalsa proprio di un gruppo di giovani talenti
universitari, scelti con il supporto di Contattolavoro, ai quali ha affidato
la consulenza sui contenuti e la grafica dell’area “Lavora con Noi”.
Altro esempio è stato presentato da Marco Scippa , Direttore Risorse
Umane di Elica, con il progetto “Fatti un giro!” rivolto a 10 studenti di
diversa estrazione universitaria uniti in un team con l’obiettivo di creare
una campagna di employer branding. Proprio nel 2007 Elica ha traguardato un
risultato formidabile classificandosi nella classifica Best Workplaces
Italia 2008 stilata da Great Place to Work® come l’azienda italiana dove si
lavora meglio. “Questo risultato” - ha detto Scippa – “è frutto di numerosi
investimenti fra i quali il progetto Elica Life, che ha l’obiettivo
di rafforzare la reputazione aziendale sul versante interno con iniziative
di vario tipo rivolte a tutti i dipendenti e alle loro famiglie (borse di
studio, corsi di lingua all’estero,…) e sul versante esterno sviluppando e
rafforzando i rapporti con il territorio e i diversi attori sociali.
13-Gen-2008
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