Home | News | Eventi | Community | Cerca Lavoro | Convenzioni | Collabora | DB Aziende  

Gest. Strategica

Gestione strategica

Attualità

Comunicazione

Marketing

Gestione Strategica

Tecnologia

Gestione Risorse Umane

Management

Formazione

Mercati Internazionali

Lifestyle

Imprese di successo

Capitani d'impresa

Recensioni

Business Papers

Sondaggi

Links

Iscriviti alla Newsletter

Email:

IN EVIDENZA

Brand Storytelling Awards 2012

Employer Branding Review

Net1news

  Follow eccellere on Twitter

PARTNERS

FrancoAngeli

IDC

Egea

 

 

L'internazionalizzazione delle microimprese

Attualmente “l’internazionalizzazione dell’impresa”, insieme con “l’innovazione, ricerca e sviluppo”, è uno dei grandi argomenti su cui si cerca di coinvolgere le imprese italiane al fine di farle uscire dalla situazione di crisi in cui si trovano, soprattutto nei confronti della globalizzazione dei mercati. Sebbene da diversi anni s’investa molto in promozione e assistenza per l'internazionalizzazione, i risultati non arrivano, o sono molto scarsi a fronte di grandi sforzi realizzati. Cerchiamo di capirne le ragioni.

di Michele Lenoci
 

Le linee guida adottate sia a livello nazionale che locale da parte di enti ed istituzioni per le attività di sostegno e promozione riguardano le imprese in modo generico, come se adottare queste misure abbia lo stesso effetto sia per una piccola che per una grande impresa. Il problema è che spesso invece vanno bene solo per le aziende medio-grandi.

Ma come è composta la realtà aziendale in Italia? Vediamo:

Fonte: Archivio Statistico delle imprese Attive (ASIA), 2004.

Dimensione per n° Addetti % Imprese % Lavoratori occupati
1 – 9
(Microimprese)
82,9 %
(89,5 % nel mezzogiorno)
25,3 %
(39,6 % nel mezzogiorno)
10 – 49
(Piccole imprese)
14,9 %
(9,5 % nel mezzogiorno)
31,3 %
(33,4 % nel mezzogiorno)
50 – 249
(Medie imprese)
2 %
(0,9 % nel mezzogiorno)
21,1 %
(15,9 % nel mezzogiorno)
Oltre 250
(Grandi imprese)
0,2 %
(0,1 % nel mezzogiorno)
22,3 %(*)
(11,2 % nel mezzogiorno)

(*) In Francia le grandi imprese occupano il 47% dei lavoratori. In Germania il 60%

Da questi dati risulta evidente che il binomio microimpresa + piccola impresa è la quasi totalità del mondo imprenditoriale italiano (il 97,8% delle aziende italiane che dà lavoro al 56,6% delle persone). Gli aiuti ed i sostegni andrebbero diretti in particolare alle microimprese (che da sole rappresentano l’82,9% delle imprese italiane) non solo perché sono numericamente la maggioranza ma, soprattutto, perché vista la loro dimensione, hanno poche risorse economiche per poter fare investimenti consistenti al fine di poter affrontare i mercati esteri.
Se poi nello specifico vediamo qualche dato sulle caratteristiche delle nostre aziende che esportano vediamo che:

  • Le aziende esportatrici sono circa 180.000 (il 4,3% di tutte le imprese italiane): il 61% è microimpresa ed il 93% non supera i 50 dipendenti, producendo il 31% del nostro export.
  • Le medie imprese rappresentano il 6% delle aziende esportatrici ed hanno una quota del 27% delle nostre esportazioni.
  • Solo l’1% delle imprese esportatrici appartiene alla categoria delle grandi aziende (oltre 250 addetti) e realizzano il 42,3% delle esportazioni: le prime 100 imprese per dimensione sviluppano circa il 20% del totale delle vendite all’estero dell’Italia.
  • Circa 110.000 delle aziende che operano sull’estero (2/3 del totale nazionale) nel 2004 hanno realizzato vendite per un valore annuo inferiore ai 75.000 euro ciascuna, rappresentando appena l’1% del export nazionale complessivo. Con un valore di vendite estere così basso difficilmente si potranno permettere un “export manager”.

Questo significa che in Italia le aziende che esportano sono poche; che la maggior parte del fatturato export si concentra in poche grandi imprese; invece sono micro e piccole la maggior parte di quelle che esportano, con un fatturato molto basso: dunque hanno bisogno di aiuto e sostegno.

Ma quali sono le caratteristiche di una microimpresa? A grandi linee possiamo dire:

1) Non esiste una progettualità (niente business plan, piani di marketing, pianificazione finanziaria, ecc.). Vivono alla giornata, in continua emergenza. Spesso aderiscono a progetti di promozione e assistenza ma raramente li portano a termine, sopraffatti dalla quotidianità.

2) L’imprenditore concentra su di sé tutte le funzioni aziendali: niente ufficio export, responsabile marketing, area manager, ecc. E se ci sono, svolgono attività diverse da quelle previste per il loro ruolo. La delega è solo formale, non sostanziale.

3) La ricerca di nuovi clienti, sia nazionali che esteri, è affidata al caso e alle circostanze che capitano di volta in volta (è una conseguenza del punto 1).

4) Le attività promozionali vengono scelte solo sulla base del costo più basso, non sulla base del potenziale risultato. Le adesioni a fiere o altre manifestazioni avvengono all’ultimo momento (dunque pagando a prezzo pieno stand, alberghi, voli, etc.).

5) Tutto ruota intorno ai prodotti. Sono spesso di ottima qualità, artigianali nella stragrande maggioranza. Quasi non subiscono modifiche o sviluppi nell’arco di vita dell’azienda (niente ciclo di vita del prodotto). Si dà per scontato che il prodotto si venderà "da solo perché ottimo". Non si accetta l’idea che forse quel prodotto non soddisfa il bisogno dei consumatori, o che ci sono altri prodotti concorrenti.

6) Come conseguenza del punto precedente, i servizi che ruotano intorno al prodotto (marketing, promozione, comunicazione, etc.) sono ritenuti inutili o, nella migliore delle ipotesi, bisogna spendere il meno possibile visto che sono solo dei costi. La Formazione è solo un costo anche nel caso in cui sia gratuita (se l’imprenditore va in aula l’azienda rimane chiusa).

7) Se le aziende non hanno esperienze di export, ritengono che appena presenteranno i loro prodotti questi saranno acquistati immediatamente, che all’estero li aspettavano a braccia aperte, e che essendo prodotti “Made in Italy” i clienti saranno disposti a pagare qualunque prezzo per quanto stratosferico esso sia.

8) Il concetto di mercato, sia nazionale che estero, è molto generico. Le informazioni ed i dati non vengono monitorati e studiati. Le fonti sono spesso solo i mass-media e le decisioni vengono prese sulla base di notizie non controllate, oppure basandosi sul “fiuto ed istinto imprenditoriale”.

9) La microimpresa ha una sola parola d’ordine: trovare chi vuole comprare il suo prodotto (niente delocalizzazioni, investimenti in società commerciali, Joint Ventures, etc.), e che paghi in anticipo (scarso uso di lettere di credito, assicurazioni sui pagamenti, etc.).

Questo spiega perché la maggior parte delle attività di promozione e sostegno per l’internazionalizzazione alle imprese dia scarsi risultati. Queste attività dovrebbero servire come le catapulte delle portaerei per lanciare gli aerei (in questo caso le aziende). Purtroppo invece accade che una volta che si ferma la catapulta, si ferma anche l’aereo, e questo succede perché la catapulta non sa cosa sta lanciando. Gli elementi caratteristici delle micro e piccole imprese sono quasi sempre in antitesi rispetto a quelle delle grandi imprese.

Un esempio: il 90% dei produttori di vino italiano (prodotto che sta riscuotendo grande successo in alcuni mercati internazionali) ha una produzione media annua di 10.000 bottiglie (in un container ci vanno 20.000 bottiglie). Avrebbe dunque senso portarli in missione commerciale negli USA dove il più piccolo importatore chiederà almeno qualche container all'anno?

Eppure sia il sistema economico che formativo continua a considerare solo l’azienda medio-grande come perno della nostra economia. I giovani studiano e si laureano su testi che parlano solo di grandi imprese. Argomenti come Marketing, Risorse Umane, Organizzazione Aziendale ed altre sono impostate sulla base di strutture aziendali di notevoli dimensioni e ben strutturate. Se si va in una libreria specializzata i testi che parlano d’impresa sono per la stragrande maggioranza libri che trattano la realtà delle grandi imprese (spesso sono traduzioni di testi anglosassoni che riguardano la gestione di multinazionali). A volte si trova qualche testo che parla di PMI, ma anche la piccola impresa è una realtà diversa rispetto alla microimpresa, per non parlare del fatto che molte volte questi testi sono scritti da persone che non hanno mai messo piede in una PMI.

Da ciò si evince la ragione per cui il nostro sistema scolastico/universitario/formativo sforna, in percentuale sempre maggiore, dei disoccupati. I giovani escono ben preparati per una realtà economica che nel nostro paese rappresenta solo una minima percentuale del tessuto economico. Sovente gli imprenditori delle microimprese non vogliono i laureati in azienda (“vogliono solo essere ben pagati e non sanno fare niente” si sente dire spesso, e non a torto). Eppure si tratta quasi sempre di giovani validissimi, ben motivati e con voglia di fare, ma totalmente impreparati per una realtà ben diversa da quella che hanno studiato.
Altro riscontro lo troviamo nelle Fiere, anche esse nella quasi totalità impostate per le grandi aziende. Infatti solo queste ultime riescono ad ottenere dei risultati in virtù del fatto di avere a disposizione del personale in grado di gestirle, mentre le microimprese sono sempre più deluse e restie a parteciparvi in quanto non riescono a trasformare la loro presenza in fatturato.
Non serve offrire alla microimpresa finanziamenti per la partecipazione a fiere o missioni commerciali che non è in grado di gestire (partecipazione, negoziazione, attività di back-office al ritorno, ecc.). L'azienda ha bisogno di essere accompagnata, seguita ed assistita, in tutte le fasi dell’internazionalizzazione. Questo significa mettere a loro disposizione non finanziamenti o non solo per meglio dire, ma risorse umane preparate alla loro realtà, cioè persone che abbiano sì una preparazione manageriale, ma che siano in grado anche di fare i commerciali, disposti a “sporcarsi le mani” (fare telefonate in più lingue, scrivere lettere commerciali, inviare campionature, creare il catalogo, approntare un sito web, ecc.), persone in grado di creare strategie sulla base delle caratteristiche di queste aziende, e poi in grado di trasformarle in valide azioni commerciali con l’estero.

E’ proprio l’assenza di figure professionali altamente ma, anche, specificatamente qualificate per le microimprese che comporta una buona parte dei fallimenti o degli scarsi risultati dei piani di sostegno all’internazionalizzazione.
In Germania nella regione del Baden-Württemberg è in atto un progetto denominato “BUSTEN”, tramite il quale viene realizzato un check-up dell’azienda per verificare il grado di preparazione all’internazionalizzazione; in presenza delle caratteristiche necessarie, viene offerto un servizio di supporto, consistente in una attività di accompagnamento tramite consulenti per creare e ampliare l’attività di export dell’azienda. Tale azione è per un terzo finanziata da fondi europei, per un terzo dallo Stato Federale e per un terzo dalla Regione del Baden–Württemberg (per le aziende è gratis). In altre regioni tedesche molte Camere di Commercio inviano all’azienda che vuole internazionalizzarsi un esperto che le affianca per ben 3 anni. In Spagna la Regione Catalogna ha attivato un programma chiamato “MICRO” con il quale vengono predefiniti dei gruppi di 4 imprese a cui viene offerta l’attività operativa di un consulente Junior per 1 anno, affiancato da un consulente Senior che dedica 60 ore l’anno all’impresa; il tutto a un costo di appena 300 Euro al mese per l’azienda.

In Italia va riconosciuto che l’Istituto per il Commercio Estero (ICE) ha avviato in alcune regioni delle attività di assistenza di questo genere per le PMI. A breve partirà un progetto di formazione di esperti export in Basilicata che poi saranno inviati in stage a fare affiancamento per 8 mesi presso piccole aziende, supportati da esperti Senior. Purtroppo non sono programmi di tipo strutturale e permanente (come in Germania e Spagna), ma solo sporadici progetti dovuti al merito di singoli funzionari intraprendenti che per farli approvare devono spesso superare notevoli difficoltà.
Sono azioni costose, che non hanno certamente l’immagine e la visibilità sui mass-media che invece hanno tante “missioni commerciali di alto livello” con personaggi e aziende rinomate, ma che producono grandi risultati operativi nello sviluppo dell’export delle microimprese.

 

26-Mag-2007

© 2007 - Eccellere - Business Community

 
 

 

 

 

 

 

RUBRICHEMAPPA | COLLABORA

  NOTE LEGALI E COOKIE


Eccellere Business Community è una testata giornalistica registrata al Tribunale di Roma - n. 348 del 26/09/2008.
I testi rimangono proprietà intellettuale e artistica dei rispettivi autori. 2010 -
I contenuti di Eccellere sono concessi sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Unported. Ulteriori informazioni sono disponibili alla pagina Note legali.