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Rileggere l’impresa: nuovi modelli di management per un’impresa in trasformazione

Relazioni, risorse, reti diventano le parole chiave per comprendere oggi le imprese e per tracciarne le direttrici di sviluppo. Ne discutiamo con Renato Fiocca, professore ordinario di Marketing all’Università Cattolica di Milano e autore del libro “Rileggere l’impresa”.

di Nicolò Occhipinti

Cresce negli ultimi anni la sensazione che ci siano dei differenziali sempre più ampi e profondi tra chi l’impresa la studia e chi invece la pratica. L’impresa nella sua operatività sembra non rispettare più i paradigmi che hanno consentito nel passato di descriverne il funzionamento e che hanno permesso ai manager di gestirne la complessità.
Quel che non è chiaro, in effetti, è se le imprese sono radicalmente cambiate o se invece è cambiata la prospettiva dell’osservatore e dello studioso di management, poiché dotato adesso di strumenti di analisi più sofisticati.
“La letteratura tradizionale si è cimentata nell’interpretare un tipo d’impresa che non c’è più o, quantomeno, che non rappresenta più il modello dominante. Parallelamente, gli strumenti interpretativi più attuali e il conseguente sviluppo delle conoscenze hanno consentito di scoprire nuove e assai stimolanti configurazioni d’impresa”. E’ quanto afferma Renato Fiocca, professore ordinario di Marketing all’Università Cattolica di Milano e direttore di Centrimark, nel suo ultimo libro “Rileggere l’impresa”, edito da ETAS.

Professor Fiocca, quali sono i cambiamenti più importanti avvenuti negli scorsi anni nelle imprese e negli strumenti utilizzati per studiarle e governarle?

Renato Fiocca
professore ordinario di Marketing all’Università Cattolica di Milano

L’impresa di oggi ha caratteristiche diverse da quelle delle imprese del passato. Le nuove tecnologie, l’ampia disponibilità di informazioni, il ruolo crescente della conoscenza, le possibilità di sviluppo seguendo logiche di rete, di network, il tema dell’intangibilità, e così via, conferiscono alle imprese caratteri di novità, scarsamente comprensibili seguendo le modalità tradizionali di gestione. Ciò non vuol dire che le logiche finora sviluppate siano da eliminare. Vanno, piuttosto, rivisitate e integrate per tener conto dei cambiamenti intervenuti.

Sono cambiate anche le fonti di vantaggio competitivo?

La generalizzazione è sempre un po’ problematica perché il vantaggio competitivo è strettamente legato alla struttura del business. In generale, però, si può affermare che la comprensione delle dinamiche di mercato e la vicinanza al cliente sono sempre più importanti. La relazione con i clienti va però vissuta in modo più completo, tenendo presente che il valore del cliente aumenta con l’aumentare della longevità della relazione. Si tratta allora di seguire costantemente le esigenze della clientela e di adattare progressivamente l’offerta a come queste si modificano nel tempo. In questo modo si sviluppano relazioni fortemente caratterizzate da elementi di natura fiduciaria che consentono all’impresa di poter effettivamente governare il rapporto con il mercato. La centralità del cliente attiva, a sua volta, altri elementi caratterizzanti il vantaggio competitivo: le conoscenze, la capacità di interpretare in modo creativo le alternative di presenza sul mercato, l’innovazione che è sempre più legata alla comprensione dei comportamenti e delle esigenze dei clienti, e così via.

Nel suo libro viene dato ampio spazio al tema delle reti. Al concetto astratto di mercato, si legge, si sostituisce quello più concreto di rete di relazioni. Le possibilità di sviluppo sono proprio legate alla capacità di mobilitare e organizzare gli altri attori della rete e di attrarne le risorse in modo conveniente. Con quali strumenti?

Più che parlare di strumenti si deve riflettere sul fatto che l’imprese deve aggregare intorno a sé il maggior quantitativo possibile di risorse, mobilitando ed attraendo le risorse che i vari componenti della rete di relazione possono rendere disponibili. Gli “strumenti”, se così possiamo chiamarli, sono riconducibili alle capacità di relazione dell’impresa stessa.

Quindi, saper governare le relazioni è adesso un fattore fondamentale per raggiungere il successo…

Esatto. Le relazioni rappresentano il legame con l’ambiente esterno: attraverso le relazioni l’impresa riesce ad ottenere quelle risorse, materiali e immateriali che le sono indispensabili per svilupparsi. L’importanza delle relazioni deriva allora dal fatto che un’impresa che non sia in grado di coltivarle in modo adeguato vede progressivamente depauperarsi il suo patrimonio di risorse. E questo, prima o poi, troverà riscontro sui risultati economici e finanziari.

In questo nuovo contesto, come vengono definiti i confini dell’impresa?

Il tema dei confini dell’impresa si modifica radicalmente con la prospettiva relazionale. Tradizionalmente i confini vengono definiti in base al livello di controllo che l’impresa può esercitare. La relazione, però, non può essere “di proprietà” di qualcuno. E’ sempre condivisa. I confini, allora, perdono il significato di “limite” e assumono quello di “potenziale di sviluppo” perché sviluppando le relazioni accrescono le possibilità di business dell’impresa.

Allora, per stimare il potenziale di sviluppo di un’impresa è necessario poterne misurare il capitare relazionale. In che modo?

La misurazione del capitale relazionale comporta anzitutto una chiara identificazione delle relazioni più importanti per l’impresa. Se consideriamo le relazioni con i clienti sarà allora necessario tenere sottocontrollo i livelli di soddisfazione della clientela, le aree ove si può creare maggiore soddisfazione e come poter intervenire su di esse. E’ naturale partire dalla “customer satisfaction” perché rappresenta il primo elemento della fidelizzazione del cliente. Naturalmente non ci si può “limitare” solo al cliente. Altrettanta attenzione va posta nei confronti dei fornitori e delle relazioni che legano l’impresa ai mercati di fornitura. Una terza area certamente importante riguarda le relazioni con i dipendenti e con i collaboratori e, di conseguenza, valutare i loro livelli di soddisfazione. Più in generale, comunque, si tratta di avere un sistema di misurazione che valuti l’impresa non solo per i risultati che ottiene (di redditività, di quota di mercato, ecc.), ma che consideri l’origine dei risultati stessi, cioè le relazioni.

Appare sempre meno corretto limitare la valutazione delle performance di un’impresa ai tradizionali indicatori economico-finanziari. Quali sono adesso gli strumenti di valutazione più attendibili?

Non credo si debbano porre in contrasto le valutazioni economiche e finanziarie con gli altri possibili indicatori di performance. In ogni caso l’impresa deve essere in grado di esprimere risultati economicamente apprezzabili. Oltre a questi, però, non bisogna dimenticare tutti gli indicatori che esprimono altri elementi di performance: dalla customer satisfaction, alle capacità di innovazione, al livello di fedeltà della clientela, alla crescita delle conoscenze e del capitale intellettuale.

Quali sono i temi ancora non sufficientemente esplorati dagli studiosi di management e che assumeranno via via maggiore rilevanza per le imprese del futuro?

I temi sono numerosi e molti di essi sono stati toccati nelle risposte alle domande precedenti. Credo, soprattutto, che sia importante considerare l’attività d’impresa in modo più ampio, anche affrontando temi quali la sostenibilità e il suo ruolo sociale e di responsabilità.

Rileggere l'impresa
a cura di R. Fiocca
Ed. Etas
pp. XXII+410

Anno 2007
ISBN 9788845314131

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28-Gen-2008

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