Perché l’Italia perde competitività? Il punto di
vista delle imprese.
I risultati del sondaggio sulla competitività delle imprese
italiane, realizzato da Eccellere in collaborazione con Spazio Impresa e
Key4Biz.
di Enrico Ratto
a cura delle redazioni di Eccellere,
Spazio Impresa e
Key4Biz
Migliorare la competitività è oggi la missione principale degli
industriali che operano nel sistema Italia e che vorrebbero acquisire
quote di mercato in Europa, in Oriente, nel mondo, e che vogliono superare
le imprevedibilità della macroeconomia.
Quella competitività che sembra così distante dalle priorità della
politica e della burocrazia, come fosse diventato ormai un luogo comune. Non
sempre è così. Ma da un’indagine di Business International, sei mesi fa
l’Italia perdeva altre 8 posizioni nella classifica dei paesi che offrono la
maggiore accoglienza a chi vuole investire capitali e lavoro nel nostro
paese. Il portale Eccellere - Business Community, in collaborazione con
Key4Biz e Spazio Impresa, nel marzo 2006, hanno domandato ad un campione di
1060 lettori, tra dirigenti d’azienda, manager, liberi professionisti e
dipendenti, quali fossero, a parere loro, le cause della scarsa
competitività del sistema Italia.
I risultati mettono al primo posto gli scarsi investimenti
nell’innovazione (spendere in ricerca non è una priorità, è piuttosto un
atteggiamento anti ciclico agli eventi negativi, anziché essere costante nel
tempo), seguiti dall’inadeguatezza delle infrastrutture (è necessario
investire in porti, strade, vie di scambio con i paesi europei) e delle
politiche per l’impresa e la concorrenza. Tra gli altri risultati, la scarsa
cultura manageriale, la difficoltà di accesso al credito e, soprattutto,
l’eccessiva diffusione della raccomandazione.
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“Quella della raccomandazione è una cultura che offre protezione, scalate
rapide, e genera pigrizia soprattutto mentale.”, spiega Marzio Bonferroni,
Presidente di UniOne, “La cultura mafiosa e il conseguente nepotismo e
raccomandazione sono fra i principali killer dell’economia”. Una pigrizia,
un senso di eccessiva quanto infondata sicurezza, che si traduce in scarsa
propensione agli investimenti e in ricerca e innovazione “Di fronte
all’innovazione di prodotto sono purtroppo prevalenti due visioni entrambe
distorte”, spiega Aldo Viapiana, Vice Presidente AISM Associazione
Italiana Marketing, “La prima considera l’innovazione come lusso, la
seconda come una disperata necessità. In queste due concezioni sta un doppio
errore. Da una parte si intende l’innovazione come qualcosa di estraneo alla
normale vita dell’azienda, dall’altro si concepisce l’innovazione come un
fattore che in quanto tale è in grado di trasformare magicamente una
situazione decotta”.
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Più ottimista su questi risultati è Maurizio Grì, Responsabile
Formazione di TIM, che di fronte alla scarsa innovazione non crede di
poter individuare una causa unica, o quantomeno un quadro sintetico. “Le
variabili in gioco sono troppe per parlare di tendenza. Preferisco pensare
ad una situazione difficile, che costringe a trovare necessariamente strade
nuove per uscirne e senza fare affidamento a cambiamenti esterni (comunque
auspicabili)”. Vi sono settori in cui la competitività si gioca su scala
mondiale, e che secondo Maurizio Grì potranno rivelarsi i motori
dell’economia italiana di domani: innovazione e design.
Ma proprio riguardo questi settori, il cui business è così legato alla
capacità di produrre idee, sembra abbia poco peso per gli intervistati la
limitata diffusione dei brevetti, rispetto ad altri paesi dell’Unione
Europea. Se secondo Bonferroni “si arriverà ad avere una crescita dei
brevetti nazionali e internazionali, quando si avrà una crescita delle idee
che portano al brevetto”, più legato alle priorità delle imprese che alla
preparazione manageriale sembra essere Viapiana, che puntualizza “esistono
fortissime aziende nel fashion e accessori, alimentare, mobile, arredo, nel
car e industrial design, nella componentistica auto, nella meccanica
strumentale, nelle macchine utensili, nell’automazione industriale, nella
chimica di specializzazione. In queste aziende ad una robusta, definita e
coerente politica di marketing si accompagnano una precisa strategia di
branding e una ricerca e sviluppo certamente non marginale sul piano della
capacità dell’innovazione tecnologica e degli investimenti ad essa
destinati. Molto spesso, però, vi è una scarsa scarsa consapevolezza di
quanto sia rilevante formalizzare anche in termini di brevetto i risultati
di R&D che per altro è praticata ancora in modo insufficiente in Italia.”
In conclusione, che colore ha il futuro delle imprese italiane? “Vi
attribuirei un colore neutro”, afferma Laura De Candia, Responsabile Area
Internazionalizzazione Confindustria di Bari, “che non si identifica né
con una presa di posizione ottimista né pessimista. In futuro prevedo una
riconversione della base produttiva, che si tradurrà in una diminuzione del
manifatturiero a vantaggio dei servizi. Dunque non diminuzione di imprese,
ma differente assetto imprenditoriale. Dunque, non diminuzione del numero
delle imprese, ma differente assetto imprenditoriale”.
Link alle interviste complete ->
Link al report del sondaggio ->
15-Giu-06
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