| Impresa e arti visive. Dalla sponsorizzazione 
      alla progettualità.di 
      Enrico Ratto A cura dell'Osservatorio Impresa e Cultura 
      Edizioni Ibis 
       Negli 
      ultimi anni, presa coscienza di una fase piuttosto difficile per quanto 
      riguarda la pura produttività delle imprese, le aziende hanno posto molta 
      attenzione sugli interventi culturali legati al territorio. "Impresa e 
      arti visive" è un volume che raccoglie otto anni di storia del Premio 
      Impresa e Cultura, momento in cui viene valorizzato l'impegno del mondo 
      imprenditoriale nell'ambito della cultura. Due sono gli elementi che nell'ultimo decennio 
      hanno spinto le aziende italiane ad impegnarsi a fondo, stanziando budget 
      che raggiungono i 111 milioni di Euro complessivi, in sponsorizzazioni e 
      in partecipazioni sempre più in profondità (per esempio la creazione delle 
      Fondazioni) nella valorizzazione culturale. Si tratta di due esigenze 
      strettamente correlate tra loro. In primo luogo vi è una ragione interna 
      all'impresa, ovvero la necessità di operare una forte ristrutturazione del 
      brand, e in particolare di arricchirlo con l'obiettivo del fornire i 
      propri prodotti di un valore aggiunto in termini di stile. Nel volume viene evidenziato come questa sia 
      l'esigenza che sta vivendo in questi anni l'imprenditoria portante del 
      Made in Italy. Creare valore aggiunto per mantenere quote di mercato 
      laddove queste sono sottratte da una concorrenza aggressiva fondata 
      sull'abbattimento dei prezzi. Non è quindi solo sul prezzo che si fonda la 
      scelta del consumatore oggi, ma soprattutto sulla percezione che egli ha 
      del brand. E per mantenere quote di mercato, il Made in Italy ha scelto la 
      via dell'investimento in cultura. Nel paese dell'arte e della storia, la 
      rotta della valorizzazione culturale del territorio viene da sé. Benetton, 
      Trussardi, Illy, Diesel, Zegna, Ferragamo, Furla. Tutte aziende che hanno 
      scelto strade diverse (dalla Fondazione alla promozione di premi e 
      manifestazioni) ma orientate allo stesso obiettivo: l'arricchimento del 
      brand attraverso l'impegno nell'arte visiva. Perché l'arte visiva, tra le tante forme 
      artistiche, diventa così importante in una strategia di marketing di lungo 
      periodo? Secondo Cesare Annibaldi, già responsabile delle Relazioni 
      Esterne del Gruppo Fiat e Presidente di Palazzo Grassi "non è da oggi che 
      le arti visive hanno questa situazione privilegiata; anzi è costante nel 
      tempo uno stretto legame con la società, per i rapporti che hanno sempre 
      avuto con la vita politica e civile, con la dimensione religiosa e con le 
      esigenze di espressione degli individui. Questo rapporto fra società e 
      arti visive si è modificato ed allargato nel tempo ed è oggi segnato 
      dall'affermarsi della società di massa e dalla centralità del mercato". Un 
      legame con le esigenze naturali dell'individuo, tra cui oggi si può 
      contare la crescita economica e il fare impresa nel senso più esteso del 
      termine, e successivamente un legame stretto col territorio, altro 
      pilastro portante delle aziende Made in Italy (da Illy a Diesel, da 
      Trussardi a Benetton: in ognuna di queste aziende vi è un legame 
      particolare con le città in cui sono nate). Seconda ragione della scelta culturale, così come 
      viene messa in evidenza nel volume, è l'esigenza di capovolgere un 
      meccanismo tanto in voga negli anni '80 e '90 nel mondo imprenditoriale: 
      fare in modo che la cultura non sia più esclusivamente comunicazione. 
      Tutta la pubblicità, e comunque la comunicazione aziendale, degli ultimi 
      25 anni è stata attraversata da quella che potrebbe essere definita 
      "un'ondata ribassista", per cui la cultura veniva trasformata in una forma 
      facile di comunicazione. Senza per questo creare gerarchie di valori poco 
      generose verso la comunicazione d'impresa, è evidente che la cultura non 
      può avere come unico faro "l'essere comunicata". Così come sarebbe 
      distorsivo ed improponibile voler ridurre le arti visive alla pubblicità e 
      quindi alla visualizzazione di un messaggio, allo stesso modo la cultura 
      può anche non avere il requisito dell'essere facilmente comunicabile. 
      Questo, dunque, il meccanismo che si tenta di ribaltare. Il gioco al 
      ribasso diventa un gioco al rialzo. La comunicazione della marca deve 
      mantenere il requisito della semplicità, ma allo stesso tempo deve essere 
      libera di muoversi in territori privi dove il consenso da parte del 
      consumatore non è immediato. L'opera di diverse imprese - tra esse, alcune 
      con un target molto giovane come Diesel - e il loro scommettere in artisti 
      emergenti, innovativi, per certi versi anche complessi, significa che gli 
      imprenditori italiani si stanno muovendo in questa direzione. Per concludere, bisogna sottolineare che in 
      Italia le cifre degli investimenti in cultura, e in arti visive, sono 
      ancora molto differenziate rispetto al territorio: il 58% degli 
      investimenti in progetti o sponsorizzazioni proviene da imprese 
      centro-settentrionali, con una forte incidenza della Lombardia, del Veneto 
      (in cui si concentrano 87 dei 103 progetti dell'area nord) e dell'Emilia 
      Romagna e Toscana (in cui la concentrazione sale al 72% rispetto al totale 
      dei progetti dell'area di riferimento). © 2005 - Eccellere - 
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