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Niente di più facile, niente di più difficile.

È il manuale di comunicazione aziendale di Gianni Di Giovanni e Stefano Lucchini, due professionisti di esperienza anche internazionale oggi in ENI, che raccontano “il mestiere del comunicatore d’impresa” nella quotidianità lavorativa e in un contesto che, sia pure progressivamente, sta mettendo in crisi i “persuasori occulti” e i loro rituali.

di Marco Stancati

Per scrivere un manuale, e quindi uno strumento per capire e per agire poi in maniera coerente, ci vuole umiltà e sistematicità. Tanto più che il pubblico che si vuole (dichiaratamente) coinvolgere è molto variegato: studenti, manager, imprenditori. Non bisogna dare niente per scontato, cominciando dai presupposti. E, infatti, i nostri cominciano da una pietra miliare: il modello di Shannon e Weaver (“la comunicazione è la trasmissione di un’informazione attraverso un messaggio inviato da un emittente a un ricevente”).
Modello che serve loro per evidenziare un principio base: il buon comunicatore non è colui che possiede procedure di lavoro fisse e immutabili, ma un professionista che sa adeguare il suo messaggio in relazione alle situazioni e ai destinatari. E comunica per trasmettere l’identità aziendale con le sue peculiarità, per orientare il comportamento di terzi (giornalisti, altre aziende, azionisti, clienti…), per costruire o rafforzare la credibilità aziendale. Il concetto di reputazione torna, infatti, ripetutamente in questo libro.

Le relazioni pubbliche e l’ufficio stampa
Diciamo subito che il manuale di Di Giovanni e Lucchini non tratta della comunicazione pubblicitaria, ma si propone piuttosto di trasferire il patrimonio esperienziale ed etico della comunicazione istituzionale: “Se durante l’elaborazione del messaggio pubblicitario la genialità creativa può dare del valore aggiunto alla comunicazione globalmente intesa, viceversa quando pensiamo alla comunicazione istituzionale le ricette più semplici sono le più efficaci…Studi sulla comunicazione d’impresa individuano come punto cardine un atteggiamento etico, improntato su verità e trasparenza…”.

Da qui sette consigli (linee guida) per i comunicatori:
• Lealtà verso l’impresa (assumere gli obiettivi aziendali e lavorare per i risultati globali)
• Riservatezza (le notizie riservate non vanno diffuse neanche a collaborazione conclusa)
• Rispetto per i mezzi d’informazione (l’investimento pubblicitario non deve essere usato come arma di ricatto)
• Correttezza (non diffondere notizie false e tendenziose)
• Esclusione di ogni conflitto d’interesse (non lavorare per aziende in diretta concorrenza e/o non rappresentare interessi contrastanti)
• Dichiarazione esplicita di ogni cointeresse economico (per esempio nella scelta di un’agenzia di pubblicità/comunicazione)
• Rifiuto di ogni sabotaggio della reputazione della concorrenza

Sfatato il luogo comune che la creatività sia l’elemento distintivo del buon comunicatore d’impresa (è “importante ma non prioritaria”), quest’ultimo “è colui che disegna le strategie di comunicazione, quel campione di tiro a segno che centra il bersaglio: mirare è la strategia, colpire il bersaglio è la tattica”. Lavorare strategicamente vuol dire avere costantemente chiaro qual è la situazione di partenza circa la percezione dell’azienda e qual è il diverso punto di percezione che vorremmo fosse condiviso dal nostro target, disegnando la mappa che ci consentirà tale spostamento.

Le relazioni pubbliche sono un elemento del marketing mix e rappresentano un fattore decisivo di business (accanto ai prezzi, all’immagine unificata, al marketing diretto, alla pubblicità, al packaging, agli eventi…) e si sviluppano particolarmente nei confronti degli opinion leader dato che sono “questi mediatori d’informazioni a costituire l’anello centrale della catena comunicativa perché presidiano lo snodo essenziale tra informazione mediatica e comunicazione personale”.

In quest’ambito le relazioni con i mass media rappresentano uno snodo fondamentale. Gestore di questo snodo è l’Ufficio Stampa (nel quale i nostri autori collocano oltre al Responsabile e ai redattori anche la figura del Portavoce). Ricordato che “la giornata di lavoro di un Ufficio Stampa comincia il giorno prima”, gli autori tracciano il profilo di quello vincente:

• Non “usa” i giornalisti
• Rispetta le regole del gioco
•  Quando le cose non vanno bene, lo ammette spiegando quello che sta accadendo
•  Se la notizia non c’è, non lancia comunicati
• Non chiede “marchette” (articolo pubblicato a solo beneficio dell’azienda, non dell’opinione pubblica)
• Sa trasformare un’informazione in una notizia
• Conosce in maniera approfondita il panorama dei media
• Rileva costantemente e analizza l’opinione dei media sull’azienda
• Rafforza la corretta percezione dell’identità aziendale

Insomma l’Ufficio stampa aziendale come antenna informata e sensibile, capace di captare l’opinione dei media e gli umori dell’opinione pubblica.

Focus sull’ufficio stampa
Gli autori, coerentemente con la scelta di scrivere un manuale ricorrono frequentemente a dei box evidenziati in giallo (stile post-it) per fornire linee guide, disegnare profili, compilare pratiche checklist. Tracciano analiticamente il profilo e le competenze del Responsabile dell’ufficio stampa che, oggi, non deve avere soltanto facilità di relazioni ma anche una solida preparazione di base, deve essere grande conoscitore del mondo dei media, capire le leggi del marketing, essere creativo, saper parlare in pubblico, avere una buona dizione, parlare fluentemente almeno un’altra lingua, conoscere i sistemi informatici, editoriali e multimediali, deve essere disponibile a un’estrema elasticità di orari di lavoro e a viaggiare tanto e spesso.

Le competenze? Eccole: non aspettare le informazioni ma cercarle nell’intera azienda; scrivere (e far) scrivere in maniera in modo semplice, chiaro, rapido, concreto, sintetico; verificare l’esattezza delle informazioni; capire perché i giornalisti sono critici; essere disponibile a un costante “sportello per i giornalisti”; parlare a nome dell’azienda e mai a titolo personale, ricordare che l’audience finale non sono i media ma il loro pubblico; essere sempre leale per accreditarsi come fonte d’informazione affidabile.

Segue un’analitica descrizione delle attività dell’ufficio stampa con una serie di consigli e pratiche checklist sulle diverse tipologie di rassegna stampa, sul comunicato stampa, sulla “lettera al direttore”, sulla conferenza stampa (preparazione, gestione, post conferenza), sulle tipologie di press kit, sulle strategie per l’intervista di un vertice aziendale, sulla specificità dell’intervista televisiva. Non manca un elenco descrittivo degli strumenti a supporto dell’ufficio: banche dati dei giornalisti, media monitoring services, archivio quotidiano e periodico, monitoraggio agenzie…

I media come specchio deformante del mondo
La parte del manuale dedicata ai media e a come lavorano offre una visione realistica del “sistema informazione”:

• “una notizia, per quanto fedele, non è mai la riproduzione della realtà, ma un aspetto di essa, un’interpretazione angolata in un certo modo”
• “l’informazione è uno specchio deformante del mondo, dal momento che, tra i fatti quotidiani, sceglie quelli che spiccano nel mare magno della normalità”

Insomma è difficile – avvertono i nostri - che i mass media siano effettivamente lo specchio della realtà, come comunemente si crede, perché l’informazione ci racconta fatti imprevedibili, inaspettati, inconsueti, nuovi che escono dall’ordinarietà. Ci racconta in definitiva le anomalie, ma questa “anormalità tende a sedimentarsi presso il pubblico come la norma” perché il pubblico tende a generalizzare la portata delle notizie. All’organizzazione, ai modi e tempi di funzionamento delle redazioni, all’evoluzione dovuta alla comunicazione digitale, al controllo dei media è dedicato ampio spazio sempre con un taglio pragmatico di un manuale che vuole dare strumenti per capire e per agire.

La comunicazione digitale
La convergenza digitale determinata da Internet, che di volta in volta può essere giornale, tv, radio, cinema, stereo, videogioco, teatro e tutte queste cose insieme mette in qualche modo in crisi la storica concezione di McLuhan secondo la quale “il mezzo è il messaggio”. Internet, medium versatile, è un potente strumento di comunicazione aziendale nel senso più proprio di un rapporto comunicativo: serve a comunicare l’identità aziendale, prodotti e servizi ma anche a raccogliere costantemente il feedback invertendo continuamente la funzione di emittente e quella di ricevente.

E per spiegare come hanno utilizzato Internet per la comunicazione di Eni, gli autori ricorrono:
• a una riconosciuta best practice premiata con il CSR Online Award Global Leaders 2009 (per l’eccellente qualità e concretezza dell’informazione fornita nella sezione Sostenibilità del sito Eni);
• al talk show ideato per lanciare la Campagna nazionale di Efficienza Energetica Eni 30%. L’evento, in diretta web ha coinvolto anche i “temuti” responsabili delle associazioni dei consumatori che sono stati coprotagonisti nell’informare i cittadini sui temi del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale.

Perché le scelte devono andare in un’unica direzione: trasparenza e chiarezza dei messaggi, apertura alla rete, costante ascolto e feedback, servizi sempre migliori e personalizzati.

La comunicazione di crisi
Non poteva mancare in un manuale scritto da due uomini di comunicazione di una multinazionale che opera in un settore “a rischio comunicativo”, quale quello energetico, e/o in Paesi problematici sotto l’aspetto politico e sociale.
“Durante una situazione di crisi le normali attività del dipartimento comunicazione con l’esterno assumono carattere di straordinarietà. Tutte le comunicazioni sono affidate da un comitato costituito ad hoc e seguono una procedura specifica”.

Una crisi aziendale stressa fortemente qualsiasi azienda ed è un banco di prova della qualità complessiva della comunicazione organizzativa: se si sa gestire la crisi sotto il profilo comunicativo, all’interno e all’esterno, la sensazione che si trasmetterà a stakeholder e opinione pubblica è che si stia gestendo l’evento critico e soprattutto che si è in grado di farlo. Al contrario, la percezione sarà opposta (come ha dimostrato – aggiungo io -, in maniera esemplarmente negativa, il caso British Petroleum dell’aprile del 2010 con una comunicazione confusa, contradittoria e affidata a troppi portavoce).

Di Giovanni e Lucchini illustrano la comunicazione di crisi essenzialmente in chiave esemplificativa tramite il racconto del caso Nigeria del 2006. L’attualità problematica del Nord Africa (Libia) gli ha fornito, in questi giorni, nuove occasioni. E probabilmente anche nel prossimo futuro non li farà annoiare.

Consigli e punti di vista per un’eventuale nuova edizione
“Niente di più facile, niente di più difficile” ha l’indubbio merito di sfatare alcuni luoghi comuni sulla comunicazione istituzionale, di evidenziare bene la differenza di mestiere tra “Comunicatore” e “Giornalista” (e a quest’aspetto contribuisce significativamente una funzionale presentazione di Ferruccio De Bortoli), di ricorrere senza remore e frequentemente a checklist operative, di mostrare costantemente i rischi e le opportunità di un mestiere sempre in bilico sulla linea del paradosso “troppo facile, troppo difficile”.

La “concept idea” dell’opera di Di Giovanni e Lucchini, che diventa poi titolo stesso del libro, è certamente molto accattivante perché gioca su due luoghi comuni conosciutissimi: “Facile come bere un bicchier d’acqua” ma anche “perdersi in un bicchier d’acqua”.

Il visual della copertina - credo - si sarebbe giovato di una riproduzione del bicchiere in scala più ridotta, perché la riproduzione a tutta pagina dell’immagine del bicchiere ne rallenta in qualche modo la percezione e quindi la correlazione tra immagine e testo (l’intrigante titolo). Come pure la figurina umana stilizzata, con annessa valigetta manageriale, che annaspa nell’acqua fa indulgere il lettore verso la soluzione pessimistica (perdersi in un bicchier d’acqua) togliendo inevitabilmente qualcosa alla stimolante e bilanciata alternativa proposta dal titolo.

D’accordo senz’altro per la sottolineatura, sempre in copertina, che il libro vuole essere un “manuale” per la comunicazione. Ma eliminerei il tautologico attributo “pratico”, aggiungendo semmai l’aggettivo “istituzionale” a “comunicazione”. In definitiva: Manuale per la comunicazione istituzionale. E questo non per pignoleria lessicale, ma perché definirebbe in maniera più chiara il raggio di copertura dell’opera, oggi.

Sinceramente mi auguro e sollecito, considerato lo spessore di ENI nella pianificazione di campagne informative, sociali e pubblicitarie, che gli autori decidano di completare il libro, in una futura edizione, anche con una rassegna di consigli pratici per tali attività, sia sotto il profilo della creatività sia del media planning. Libro che l’editore potrebbe a quel punto proporre senz’altro
come “Manuale di comunicazione” senza più aggettivi.

L’interessante parte relativa alle testimonianze potrebbe inoltre prevedere, accanto al racconto dei protagonisti (non tutti della stessa efficacia narrativa, in verità), alcuni box di evidenziazione dei fattori critici di successo, sempre nell’ottica prescelta (e gradita) di fornire una cassetta degli attrezzi.

Una bibliografia, inoltre, non di quelle paludate ma mirata a dare spunti di approfondimento su pubblicazioni che abbiano la medesima filosofia del “manuale”, non guasterebbe.

Niente di più facile, niente di più difficile.
Manuale (pratico) per la comunicazione.

di Stefano Lucchini e Gianni Di Giovanni
pp. 171
Editore Fausto Lupetti
Anno 2010

ISBN 889596263X
 


5-3-2011


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Commenti

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robilucchini | 6-3-2011 10:10
Caro Marco ti ringrazio personalmente ancora per la recensione, ma principalmente per il meraviglioso commento!! robi

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