Professione: cacciatore di fondi
di Elisa Scarcella
Il fundraiser è promotore di eccellenza per realtà profit e non profit
perché porta un contributo fondamentale nel raggiungimento dello scopo
sociale definito dalla loro mission. L’intervista ad uno dei principali
fundraiser italiani, Danilo Devigili.
Danilo Devigili,
fondatore di ETHOS
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Generalmente riservato, determinato, socialmente impegnato, giovane,
altamente motivato, il fundraiser ha il compito di acquisire risorse da
fonti private per il raggiungimento dello scopo sociale, cioè di un fine
definito dalla mission di un’organizzazione non profit, coinvolgendo se
stesso, donatore, beneficiario e pubblico in un’impresa comune: promuovere
una buona causa.
Nell’ultimo decennio si sono sempre più affermate sul territorio italiano
realtà non profit finalizzate a curare determinate cause legate a finalità
filantropiche e per questo bisognose di reperire fondi, anche allacciando
collaborazioni e partnership con le imprese e intraprendendo attività di
mercato. Parallelamente, come testimonia una recente ricerca realizzata
dall’Università Bocconi – su un campione di 120 grandi imprese italiane
dei settori manifatturieri e dei servizi- le azioni di CSR (Corporate
Social Responsibility) sono cresciute sempre più perché considerate dalla
proprietà e dal top management delle imprese italiane quale fattore
competitivo strategico; una scelta adottata perché coerente con il proprio
sistema valoriale (secondo l’85% degli intervistati), in grado di ridurre
il rischio aziendale (46%) e migliorare le relazioni con gli stakeholder
(66%). Proprio ad essi sono rivolte le azioni di CSR, ed in particolare le
donazioni, che le aziende promuovono al fine di rispondere alla richiesta
di Accountability (la necessità di "rendere conto" delle loro attività in
termini di trasparenza comportamentale, amministrativa, gestionale,
strategica ed economica), e acquisire da questi soggetti benefici in
termini di fiducia e, soprattutto, di risorse. Ed è proprio il contributo
del fundraiser a rendere ciò possibile, perché, operando con sistematicità
ed organizzazione e attraverso la definizione di precisi programmi e
strategie, é in grado di veicolare uno scambio di valori fra donatore e
non profit e di garantire ad entrambi il raggiungimento degli obiettivi
strategici definiti.
Tra
i principali fundraiser in Italia, Danilo Devigili, consulente di
marketing e comunicazione, Laureato in Economia e Commercio presso
l’Università di Bologna, si è specializzato frequentando il Master in
Marketing e Comunicazione di Publitalia’80. Dopo alcune esperienze aziendali
(Renault Italia e Thun Spa) nel 1993 inizia ad occuparsi di marketing
sociale e fundraising, prima come dipendente di WWF Italia e dal 1997, come
libero professionista al fianco di importanti aziende profit e non profit.
Nel 2002 fonda Ethos, società specializzata in Cause Related Marketing e
Corporate Social Responsibility di Lorien Consulting (gruppo WPP). E’
autore, con Mario Molteni del testo,“ Il Cause Related Marketing nella
strategia d’impresa”.
Dott. Devigili , secondo Henry A.Rosso, ritenuto il massimo esponente
mondiale del fundraising, il f.r. "non è altro che un mezzo per raggiungere
un fine basato sulla mission dell’organizzazione non profit", mentre per
Fabio Doppiero, responsabile raccolta fondi dell’Associazione Campus
Bio-Medico, il fundraiser è colui che "unisce cuore e portafoglio, fonte e
foce": è d’accordo con queste definizioni? Cosa significa per lei essere
fundraiser e quanto ha contato il suo background di specialista in marketing
nel giocare, oggi, il ruolo di “ponte” tra mondo profit e non profit?
Mi trovo più in sintonia con la definizione di Rosso perché la trovo più
professionale e adatta a formare anche in Italia una cultura laica del
fundraising; anche se la contaminazione con i valori, più che con i
sentimenti, è un elemento fondamentale del fundraising. Il fundraising mi ha
dato l’opportunità di conciliare la dimensione professionale con i valori.
Cerco di portare un contributo alla realizzazione di progetti sociali e
culturali che possono rappresentare la soluzione di piccoli e grandi
problemi. Questo mi gratifica molto e mi consente di superare le difficoltà
che questa professione comporta, soprattutto in Italia. Da quando ho
costituito Ethos ho avuto la possibilità di promuovere presso molte aziende
l’idea che è possibile superare la tradizionale divisione profit non profit,
conciliando valori con obiettivi economici.
Quali sono i compiti del fundraiser e di quali mezzi e strumenti si
avvale per raggiungere gli obiettivi prefissati?
Il fundraiser deve costruire relazioni con i potenziali donatori di un’organizzazione
non profit. A seconda del pubblico cui ci si rivolge si concepiscono
strategie e si utilizzano strumenti molto diversi. Si va dalle classiche
campagne di mailing che rappresentano ancora uno dei principali canali di
raccolta fondi, all’organizzazione di eventi di piazza o televisivi, fino
agli incontri individuali con potenziali grandi donatori. Il fundraiser deve
essere in grado di progettare, organizzare e comunicare. E’ una professione
che richiede diverse competenze, dalla finanza alla comunicazione, passando
per la psicologia.
Come individua le aziende potenziali donatori, in relazione alla causa
e quali opposizioni riscontra più frequentemente da parte loro?
Oggi con Ethos ho cambiato prospettiva, infatti aiuto le aziende a trovare
il proprio territorio etico di riferimento, vale a dire la causa sociale più
coerente con il loro posizionamento aziendale, e solo dopo andiamo alla
ricerca del progetto e del partner sociale da finanziare. Nel fare ciò, le
maggiori resistenze che incontro sono connesse alla visione di breve periodo
con cui si affrontano i progetti di filantropia d’impresa. Per molte aziende
infatti queste attività sono ancora considerate marginali e aggiuntive, in
questo senso la sfida consiste nel far comprendere invece che le operazioni
di cause related marketing o di corporate philanthropy possono contribuire a
creare valore per l’impresa, il cittadino e le organizzazioni sociali,
superando la tradizionale divisione tra profit e non profit.
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