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Uscire dalla crisi: analisi ed indicazioni che vale la pena ascoltare

L'economosta Paolo Savona e il giurista Giuseppe Guarino teorizzano una possibile uscita dell’Italia dalla fase di perdurante e peggiorante stallo economico e di vassallaggio politico.

di Marco Minossi


Paolo Savona,
Economista

Rispetto al dibattito economico che emerge in sede di Istituzioni, di Governo e di talk-show televisivi pluri-quotidiani, contraddistinto da un livello di profondità, di analisi e di spessore dei relatori pari a quello di un’assemblea di condominio ( con l’IMU regina indiscussa di tutti i problemi e di tutte le propagande ), l’ultima parte dell’anno passato ha visto elevarsi le voci e le prese di posizione di due tra i massimi economisti e giuristi ancora attivamente e lucidamente presenti nella cultura del nostro Paese.


Gli interventi di Paolo Savona e di Giuseppe Guarino, entrambi tecnici “ ante-litteram “ avendo messo a disposizione le proprie competenze specialistiche di fama internazionale quali ministri di precedenti Governi negli anni ottanta e novanta, si incentrano nel teorizzare un’uscita dell’ Italia dalla fase di perdurante e peggiorante stallo economico e di vassallaggio politico, combinando il necessario rigore dettato dai fondamentali economici e giuridici, e dall’adesione al Trattato di Maastricht e all’Euro, con il recupero di politiche che si affranchino da un’applicazione servile di patti scellerati ed eternamente condizionanti in negativo quali il “ Fiscal Compact “ ( La “Riduzione Fiscale” è, come noto, l’abbreviativo anglosassone con cui è comunemente definito il “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’ unione economica e monetaria”).
Va notato come tali voci siano state mantenute molto defilate a livello politico e mediatico, in particolare televisivo ( mentre grande presa hanno suscitato sulla stampa e nei social forum ), fino a quando Paolo Savona, proprio negli ultimi giorni dell’anno passato, si è preso la briga di manifestare il proprio pensiero sotto forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica.

Savona parte dalla constatazione che, nello spirito del Trattato di Maastricht, la moneta unica avrebbe dovuto essere lo step iniziale di un processo di integrazione e di sviluppo, e che va altresì preso atto che così obiettivamente non è avvenuto.
Evidenziato che lo slogan governativo delle “politiche dei quarantenni “ cerca di mascherare come nuove delle misure redistributive e di aumento della pressione fiscale di vecchissimo stampo, egli individua cinque interventi urgenti - i primi due come presupposto per i successivi - senza i quali nessuna riforma funzionale ad un programma di sviluppo potrà avere luogo, né in ambito italiano, né a livello europeo, e indica in particolare:

1 – La necessità di una ristrutturazione del debito pubblico italiano ( pari, vale la pena ricordarlo, a circa 2.100 miliardi di Euro ) a fronte di “asset” pubblici da dare in garanzia ( cioè di patrimonio da cedere );

2 – Un taglio immediato del 3% alla spesa pubblica ( Savona, pur non avendolo espressamente menzionato nei testi da noi letti, si riferisce certamente alla spesa corrente inefficiente );

3 – L’avvio di una riforma radicale della Pubblica Amministrazione, che tenga conto dei lunghi tempi necessari per portarla a compimento;

4 – Il conseguente recupero di una dignità economica che permetta all’ Italia di farsi promotrice della revisione nella legalità di accordi europei quali il Fiscal Compact (e qui si inserisce l’analisi giuridica di Guarino), e del ruolo della BCE non solo quale limitato attore di politica monetaria baluardo anti-inflazione, ma anche di manovratore del cambio dell’ Euro e di prestatore di ultima istanza. Quest’ultima funzione, per quanto riguarda i titoli italiani del debito pubblico, viene supplita dalle banche, con la BCE che le ha abbondantemente finanziate a tasso ridotto e con scadenza triennale (100 miliardi di Euro nel periodo dicembre 2011 – febbraio 2012), ma che non ha potuto mai intervenire direttamente sui titoli di stato.

5 – L’attribuzione al Parlamento Europeo della facoltà di dettare politiche di spinta agli investimenti infrastrutturali, in percentuale sul PIL europeo.
Savona evoca il pensiero di Luigi Einaudi nel rimarcare quelli che sarebbero gli effetti perversi di un incremento della pressione fiscale ( inevitabile in ottemperanza al Fiscal Compact così come esso è entrato in vigore il 1 gennaio 2013 ); la nostra memoria ritorna invece ad Arthur Laffer, consigliere economico del Presidente americano Ronald Reagan negli anni ottanta, che aveva dimostrato come oltre un determinato aumento della tassazione, il gettito fiscale diminuisce anziché crescere, a causa degli effetti depressivi sull’ economia.


Fiscal Compact che, secondo l’analisi tecnica del giurista Giuseppe Guarino, non si dovrebbe applicare, e non andrebbe pertanto modificato l’art. 81 della nostra Costituzione inserendovi l’ obbligo del pareggio di bilancio. Il fondamento di tale analisi è ineccepibile: il Trattato di Lisbona, che prevede il parametro del rapporto al 3% tra deficit di bilancio e PIL, non può essere modificato da una norma di rango inferiore, il Fiscal Compact che impone il pareggio, ma che costituisce un Trattato a modifica di quello di Lisbona.
Per correttezza, va anche ricordato l’esistenza di punti di vista discordanti con quello di Guarino, uno per tutti quello del giurista tedesco Matthias Ruffert, secondo il quale nulla esclude che anche venticinque stati su ventotto dell’area UE possano sottoscrivere, e debbano poi rispettare, deroghe restrittive rispetto al Trattato di Lisbona stesso; e l’Italia, purtroppo, si trova in questa condizione, in forza di uno dei primi impegni assunti nel dicembre 2011 dal Governo Monti.


E’ evidente però che l’ossessione ragionieristica per il pareggio strutturale di bilancio rappresenta un contrasto stridente con i fondamentali di molte economie dell’area Euro, e determina un aumento letale dei vincoli e del pessimismo, una negazione perenne di ogni possibilità di crescita, piuttosto che un miglioramento della governance.
La conseguenza di queste analisi è quella della necessità di un recupero di sovranità nazionale, e quindi di sviluppo, che passi attraverso il ricorso alla democrazia diretta: scardinare l’alibi dei governanti in base al quale certi sacrifici ci vengono imposti al di fuori ed al di sopra della loro stessa portata, indire un referendum, smontando anche qui la scusa che i trattati internazionali non possono esserne oggetto, in quanto le conseguenti modifiche sostanziali della nostra Costituzione sono invece materia di consultazione partecipativa per definizione.


Va notato come, nel momento in cui abbiamo scritto questo articolo, le analisi e le istanze di Savona e Guarino sono giunte ai piani alti del Palazzo, dove vengono tuttavia a nostro avviso strumentalizzate, con un’interpretazione molto riduttiva di un mero “piano B” avente come obiettivo la possibile uscita dell’ Italia dall’ Euro.

19-1-2014


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