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Dal bersaglio all'amico, dall'utente alla community

Il libro “World wide we” di Mafe de Baggis descrive la nuova identità e socialità in Rete e aiuta le imprese a passare dalle logiche del marketing tradizionale a quelle della collaborazione progettando la propria presenza online in un rapporto di reciproco vantaggio con i clienti.

di Elisa Scarcella

world wide we recensione libro apogeoDavvero notevole per il taglio sociologico più che o non solo, potremmo dire, tecnologico, il volume “World wide we” di Mafe de Baggis, blogger, consulente in materia di marketing digitale e progettazione di ambienti sociali online, impegnata anche in attività di formazione e scrittura e molto altro.
Notevole perché se utili sono i volumi o manuali che danno indicazioni alle imprese sugli strumenti della comunicazione e del marketing online, ancora più utile ed interessante è un volume che le aiuti ad inquadrare il contesto entro il quale progettare ed attivare la propria presenza ed attività online; un contesto che Mafe De Baggis analizza con un taglio sociologico e antropologico, con dovizia di particolari ma senza mai appesantire la lettura, con l'aggiunta di citazioni eccellenti ma anche numerose battute di spirito a sdrammatizzare le difficoltà che oggi le imprese mostrano nel gestire al meglio la propria presenza sul web.

La prima difficoltà, sottolineata dall'autrice più volte e forse fil rouge del volume stesso, è quella mostrata dalle aziende di passare da una logica di controllo e stabilità ad un contesto di libertà, fiducia e fluidità, scegliendo quindi di perdere il controllo sul messaggio che si vuole veicolare per gestire invece il senso di quel messaggio. Si parla dunque di un'innovazione non tecnologica ma sociale. Esorta l'autrice: “Torniamo a preoccuparci del valore di ciò che offriamo e della sua utilità, non del colore del logo”. Dimenticare la progettazione della piattaforma in cui l'interazione avrà luogo e del messaggio da far passare e concentrarsi sulla progettazione della socialità. Questa è la priorità per un'azienda che, senza vivere questo cambiamento in modo drammatico, vuole evolversi e costruire una nuova relazione con i clienti, perché “I social media non sono un mondo a parte: è Internet a essere sociale, come l'uomo”.
E si perché per passare dalla pianificazione e controllo alla collaborazione e fiducia, imparare a progettare esperienze per una community invece di messaggi per un target è un processo lungo e difficile e richiede il passaggio da una logica “io e voi” a una logica del “noi” (non a casa l'autrice dichiara che “questo libro parla di un NOI grande come la Rete e come il pianeta, ma anche di tutti i piccoli Noi che ci migliorano la vita”).

“Attivare una community è come dare una festa; richiede più empatia che competenza, più pazienza che soldi, più umiltà che innovazione tecnologica”. Divertente? Anche impegnativo, ma realizzabile, se si è fermamente convinti che i social media non vadano colonizzati ma vissuti per coinvolgere e creare un ambiente dove persone con scopi, obiettivi e competenze simili possano sentirsi a proprio agio e dove rendere possibile un racconto in grado di rispondere ai bisogni dei clienti/utenti/”amici”. Per rendere ciò possibile il volume definisce alcuni importanti passi da seguire: l'ascolto (“potete permettervi di tacere ma non di ignorare quello che viene detto di voi”), la presenza (“andare dai clienti, attraverso i social network, è molto più furbo che spendere ingenti somme per farli venire da voi, ad es. sul sito”), l'informazione (dare sempre informazioni con cura, approfondimento e aggiornamento), il servizio (utilizzare Internet come piattaforma applicativa ad es. l'home banking) e la socialità (essere presenti in Rete vuol dire dare una disponibilità personale all'interazione, partendo da quella con i dipendenti e fino ai clienti).
Questi i passi per utilizzare al meglio la Rete al fine di raggiungere il nostro obiettivo. Ma “Se non c'è alcun modo di far sì che i tuoi obiettivi coincidano con quelli dei tuoi utenti – esorta l'autrice - lascia perdere e compra banner”. Un obiettivo che dev'essere compatibile con le persone a cui ci si rivolge, perché, sui social media, non si parla di un target da colpire ma di comunicazione tra pari; non solo: tra questi pari, online si deve mirare a raggiungere solo le persone interessate abbandonando la logica del marketing tradizionale che lavora sulla massa e ne ignora la parte infastidita.

Il digital marketing dovrebbe infatti far sì che una persona interessata al brand trovi facilmente qualunque cosa cerchi, senza infastidire gli altri; questa persona dovrebbe essere informata - con contenuti originali, innovativi, utili e di valore per l'utente del sito - e avere a disposizione un servizio, perché “se la socialità è la parte divertente di Internet, i servizi ne costituiscono l'ossatura”
Con una strategia di community per un prodotto o un'azienda il vantaggio sarà duplice: “I social media ben utilizzati permettono di realizzare un'utopia: aumentare i profitti delle aziende rendendo felici i clienti”; questo accade se si è riusciti a progettare un ambiente dove le persone, facendo quel che più piace a loro, fanno quello che più piace all'azienda.
Teniamo però presente che le community nascono sempre dal basso, anche quando le propone un'azienda: “la differenza la fa la capacità di individuare e riconoscere il legame che coincide con gli obiettivi aziendali, attivandolo”. Occorre dunque farsi interprete di un bisogno latente e soddisfarlo, entrare in tanti mondi diversi quanti sono gli ambienti che abbiamo identificato, di nostro interesse, ed entrarci “col cuore”, perché in Rete le informazioni sono calde, soggettive, in continua evoluzione e in relazione con altre persone.

A proposito, ma queste persone sono utenti, clienti o amici? Per capirlo l'azienda deve “cambiar pelle”, assumere online una “identità digitale potenziata” fatta da dati anagrafici, contenuti, contatti, attività sui social media. Le mutazioni indotte dai media digitali hanno già cambiato i clienti, dunque l'azienda deve cambiare insieme a loro. Nel far questo, non deve però utilizzare scorciatoie perché “l'azienda sociale non è un'azienda con il pulsante “community” sul proprio sito o che ha incluso la Fan Page di Facebook nel mix degli strumenti di comunicazione. Un approccio strategico ai social media implica un percorso di cambiamento evolutivo in cui l'azienda non vuole più prosperare ai danni dei suoi clienti ma in collaborazione con loro”. Una strategia di sviluppo compatibile con la felicità di chi lo rende possibile, cioè il cliente finale.
Dopo l'identità entra in gioco un altro fattore chiave: la reputazione. In una community l'identità accuratamente progettata viene messa a confronto continuamente e da interlocutori molto diversi con la reputazione, e siccome il mondo virtuale è animato da emozioni, passioni e delusioni assolutamente reali, è importante che un'azienda, oltre all'immagine, gestisca la propria personalità.

Cedere il controllo, dunque, per mantenerlo; non un paradosso ma un'attività di “community management”, da curare con cura, competenza, tempo e passione, proponendo una relazione diretta capace di anticipare i problemi e di prevenirli; infatti le persone che gestiscono le attività di comunicazione dell'azienda oggi si relazionano direttamente con le persone che parlano dell'azienda e creeranno una buona o cattiva reputazione di essa. Un'attività seguita dal “community manager” (una figura di pubblico servizio, “fosse anche lo stesso AD”) e dal suo staff, che definiscono lo stile, le tipologie di moderazione, il customer care e le policy da seguire.
In chiusura, ci chiediamo: in Italia a che punto siamo? “Una prospettiva realista – risponde l'autrice - ci spinge a pensare che siamo lontani anni luce, in Italia e non solo. Le aziende piccole e grandi sembrano restie ad abbandonare un modelli di organizzazione e di pensiero gerarchico e prepotente, basato più sullo sfruttamento del mercato che sulla collaborazione con i clienti. A uno sguardo più attento, però, i segnali che indicano lo scricchiolio del sistema attuale sono numerosi e vanno tutti nella stessa direzione: per sopravvivere nel mercato globale l'ascolto e la relazione sono la strada migliore e per percorrerla è indispensabile funzionare come un organismo sociale, non come un altoparlante”..

World Wide We
Progettare la presenza on line: le aziende dal marketing alla collaborazione
di Mafe de Baggis
pp. 240
Apogeo Editore
Anno 2010

ISBN 9788850328802
 

22-9-2010


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