Knowledge Management e Knowledge Sharing nella formazione
Le aziende che oggi decidono di investire in progetti di Knowledge Sharing non sono più attori pionieristici. Tuttavia, diventano di casi di successo solo a condizione che si attivino dei meccanismi di collaborazione a più vie tra chi fornisce informazioni e chi le riceve dopo averle richieste.
In occasioni precedenti si è presentata più volte l’opportunità di affrontare su eccellere.com il tema della gestione del “sapere” nelle aziende. Si è analizzata l’importanza del sapere distintivo, quello che supporta i processi chiave di business sui quali l’azienda poggia e attraverso i quali l’organizzazione si assicura il vantaggio competitivo.
Tra le conoscenze chiave ci sono certamente quelle tecniche, quelle più direttamente legate all’operatività quotidiana, ai processi interni e alla crescita dell’azienda sul mercato. Si tratta di un “sapere” che è sempre in rapida evoluzione e che, altrettanto rapidamente, deve essere trasferito alle risorse operative, soprattutto se l’azienda ha una rete territoriale con forte presidio del mercato locale, come nel caso di Banche e Assicurazioni.
Diverse definizioni si possono trovare sui concetti di Knowledge Management (KM) e Knowledge Sharing (KS). Non volendo entrare nelle diatribe spesso filosofiche su quale sia la definizione più corretta, possiamo dire che noi identifichiamo con KM quell’insieme di strategie, processi e tecnologie tese ad acquisire, creare, condividere e rendere utilizzabile la conoscenza necessaria al raggiungimento degli obiettivi della mission aziendale. In quest’ottica il Knowledge Sharing rappresenta una parte del Knowledge Management, identificando con esso quell’insieme di processi e strumenti tecnologici per la condivisione e il riutilizzo della conoscenza.
Punto cruciale e spesso frainteso è che non si può prescindere dal considerare il Knowledge Sharing come parte integrante dei concetti e dei modelli alla base del KM, pena l’insorgere di risvolti negativi sulle performance di business.
Le aziende che oggi decidono di investire in progetti di Knowledge Sharing non sono più, fortunatamente, attori pionieristici in un ambito sconosciuto ai molti. Tali imprese si possono infatti avvalere di svariate best practice in grado di dettare le principali linee guida su progetti di questa natura. Dubbi e quesiti su come condividere le conoscenze chiave all’interno dell’azienda o su come identificare i passaggi concettuali e pratici che definiscono il Knowledge Sharing e lo rendono un progetto di successo, possono oggi avere risposte basate sull’esperienza di aziende che circa vent’anni fa hanno iniziato a investire in questo settore. Per contro, troppo di frequente si riscontrano in questo campo ingenti investimenti che non hanno dato il ritorno sull’investimento atteso in fase progettuale: cattedrali tecnologiche che vengono utilizzate da meno del 10% della popolazione target oppure casi di organizzazioni orientate a far diventare la conoscenza core asset ma poveramente supportate e/o consigliate circa le nuove tecnologie. Queste evenienze potrebbero essere evitate se solo si facesse tesoro delle esperienze e dei modelli di chi prima di noi ha tracciato le linee guida in questo ambito.
Il processo di Knowledge Sharing
Essenzialmente, il Knowledge Sharing è un processo che, all’interno dell’azienda, coinvolge persone, strumenti, sistemi e politiche organizzative e che, nella maggioranza dei casi, richiede anche l’utilizzo di piattaforme tecnologiche ad hoc. Un primo passo da fare è individuare le risorse che devono condividere il sapere - e che sovente ne sono anche depositarie, in particolare se pensiamo a chi ha competenze tecniche sui prodotti e servizi – e quelle che hanno necessità di esserne messe a conoscenza per comprendere quale sapere è realmente utile per quelle risorse. Per questo, il Knowledge Sharing può avere due orientamenti: uno informativo, che deve prevedere una precisa comprensione di chi è l’interlocutore e quali siano i suoi reali bisogni informativi, ed uno formativo che, per contro, prevede il trasferimento mirato della conoscenza nell’applicazione delle best practice quotidiane.
I progetti di Knowledge Sharing, tuttavia, sono casi di successo solo a condizione che si attivino dei meccanismi di “retroazione” e cioè di collaborazione a più vie tra chi fornisce informazioni e chi le riceve e le richiede, creando quindi sistemi di collaborazione evoluti, supportati al giorno d’oggi da applicazioni Web 2.0 oriented, che permettono il coinvolgimento di tutti gli attori del flusso informativo. Dato il forte imprinting strategico e la crescente predisposizione delle aziende a investire in progetti di KM, occorre che il Top Management sia ben conscio del fatto che la gestione della conoscenza è soprattutto organizzazione, processi e incentivazione oltre che tecnologia. La tecnologia è necessaria, assolutamente abilitante, ma non ci si deve mai dimenticare che la gestione della conoscenza non è legata unicamente ad aspetti tecnologici o a processi meccanici.
Tecnologia e organizzazione
Cercando di fare una macro-analisi dello scenario delle metodiche di Knowledge Management, possiamo identificare gli aspetti prettamente tecnologici con la metodologia “push”, trainata dagli strumenti ICT, che ha come obiettivo la gestione del conosciuto e vede la conoscenza come stock o repository, mentre gli aspetti organizzativi, incentivanti e collaborativi con metodica “pull”, trainata dalla comunità di knowledge worker, che ha come obiettivo la gestione del sapere e vede la conoscenza come tessuto sociale. Questi due approcci devono essere considerati come due lati della stessa medaglia e vanno affrontati obbligatoriamente entrambi, durante progetti di questa natura. In secondo luogo, ma non per questo di minor importanza, qualsiasi programma di Knowledege Management deve considerare un sistema di misurazione e benchmarking per direzionare l’eventuale politica incentivante, accelerare il processo di condivisione della conoscenza e supportare il management nel processo decisionale. Stiamo quindi parlando di organizzazione, sistemi di misurazione e miglioramento continuo, politica incentivante, processi e tecnologie: di conseguenza un progetto di Knowledge Management coinvolge tutta la piramide aziendale che contribuisce con questo approccio collaborativo a creare una “cultura” aziendale orientata al “continuous learning”. Tale sistema abilita le risorse alla crescita, facilitando la conoscenza dell’azienda e dell’organizzazione e incentivando la capitalizzazione del Knowledge attraverso politiche tese a limitare la dispersione verso l’esterno del capitale intellettuale aziendale. In conclusione, potremmo dire che non esiste un approccio giusto al Knowledge Management ma bensì è compito del Top Management cercare di trovare il giusto trade-off tra aspetti push e logiche pull al fine di raggiungere quel giusto mix di politiche organizzative e incentivanti, processi e tecnologie ICT che massimizzino i risultati.
Individuare i messaggi chiave
Quanto ai contenuti, l’azienda deve sviluppare al suo interno delle competenze sull’organizzazione dei messaggi chiave, che vuol dire progettare i flussi informativi e formativi con opportune metodologie e strumenti. Nel caso della formazione, nello specifico, ciò significa trovare persone (all’interno o all’esterno) che abbiano il sapere necessario per creare contenuti formativi adeguati e, viste le evoluzioni tecnologiche attuali, avere capacità di design di contenuti blended, con esperienze d’aula e online integrate tra loro.
I principali strumenti tecnologici dei progetti di Knowledge Sharing, che vanno integrati in una visione aggregata di Knowledge Management System, sono essenzialmente due: una piattaforma per la gestione retrival (per individuare i dati disponibili in digitale e scaricarli, come nel caso di Google) e la fruibilità rapida dell’informazione (utilizzando logiche di classificazione di metadata), e un Learning Management System per l’implementazione e tracciatura dei contenuti formativi blended.
AchieveGlobal oggi sta lavorando sul tema del Knowledge Management con un progetto di Knowledge Sharing con la Divisione Formazione di una grande banca italiana: attualmente in fase di analisi e design con la previsione di rilascio definitivo nella primavera 2009. All’origine di questo progetto si riscontrano esigenze sia di breve sia di lungo periodo. La necessità di breve termine è di organizzare e gestire gli asset formativi, presenti nel patrimonio di sapere dell’azienda presso la sede di formazione centrale sotto forma di manuali, presentazioni, audio, video ecc., per facilitare la loro diffusione in tutte le sedi formative regionali. A questo aspetto di condivisione della conoscenza si affianca l’esigenza di lungo termine di incentivare il riutilizzo e la generazione del sapere al fine di capitalizzare quello aziendale, limitando al contempo aspetti debilitanti come per esempio la sindrome del “reinventare la ruota”.
Il progetto viene strutturato in due parti organizzate a loro volta in fasi. La prima parte, articolata in quattro fasi, prevede un’Analisi Diagnostica che ha lo scopo di analizzare lo scenario attuale, investigare le principali esigenze di progetto e delineare una macro analisi di specifica dei requisiti. Il risultato finale è la creazione di una Short Vendor List, ossia di una lista di fornitori di tecnologia che siano allineati ai Requirement di progetto. Sulla base di questo studio viene scelto il fornitore e, di conseguenza, la piattaforma tecnologica di supporto al Knowledge Sharing. Successivamente si entra nella fase Pilota che coinvolge i principali attori di progetto sulle criticità del campo con l’obiettivo di portare alla luce esigenze e criticità date dall’utilizzo del sistema. I risultati di questa parte introducono alla fase di Affinamento in cui, sulla base dei risultati del pilota, vengono identificate le principali aree di miglioramento pre-rilascio. La sezione conclusiva di Rilascio si articola in due fasi: l’Avviamento definitivo del sistema Knowledge Sharing e il Follow-up. Quest’ultimo definisce, grazie a un sistema di benchmarking, le linee guida del miglioramento continuo del Knowledge Sharing, anche in funzione delle nuove esigenze che si potrebbero delineare.
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