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Un'alternativa alla Cassa Integrazione? Il Patto di Solidarietà

Cassa integrazione o patto di solidarietà? Di questi tempi, l’eccellenza va ricercata anche nelle scelte e non solo nei risultati. Quanto contano fiducia e responsabilità? In Embraco una scelta innovativa e importante è stata fatta proprio in questo periodo. Eccellere ne parla con Carola Nozzoli, Direttore delle Risorse Umane.

di Alberico Moro

Dott.ssa Nozzoli, dovevate scegliere fra la cassa in deroga, ovvero la cassa integrazione, e il patto di solidarietà, insieme con i sindacati avete scelto questa seconda soluzione. Perché è una soluzione innovativa?
Il patto è un contratto di solidarietà. Non è innovativo in sé, è uno strumento che esiste già da anni, ma è innovativa l’applicazione in una realtà produttiva così grande e complessa come quella di Embraco, che ha dimensioni importanti, lavora su tre turni, cinque giorni a settimana, con una produzione molto specializzata e complessa. Da quanto ne so, è un tipo di ammortizzatore che è già stato applicato ma su realtà più “semplici”.
 
In cosa consiste il Patto di Solidarietà?
E’ un contratto stipulato dall’azienda e dalle parti sociali. La “filosofia” è quella di lavorare meno per lavorare tutti, si tratta di una riduzione dell’orario di lavoro prestato dal singolo lavoratore. Nel momento della scelta si tratta anche di decidere come effettuare questa riduzione dell’orario di lavoro. La riduzione (come se si trattasse di un part-time) può essere su base verticale o su base orizzontale (una percentuale di ore in meno al giorno, a settimana o al mese). La scelta di Embraco è stata di applicare una riduzione della presenza su base mensile, ovvero prevede di essere presenti/assenti dal lavoro a mesi interi e con alternanza di mese in mese. Anche se questo non vuol dire che tutti i lavoratori lavoreranno un mese si e un mese no. Ci sono delle “fasce” e delle riduzioni differenti in base alle competenze e alle necessità della linea di produzione.
 
Cosa avete fatto?
Siamo partiti dalla mappatura delle singole competenze. Abbiamo analizzato le competenze e il mansionario di tutti i lavoratori, dagli operai fino ai tecnici di produzione ed abbiamo suddiviso la fabbrica e le postazioni di lavoro in quattro fasce di orari. Siamo un’azienda strutturata da anni ed abbiamo dei mansionari molto dettagliati, dei manuali operativi precisi, tutti gli operai fanno formazione tecnica e viene valutato il loro apprendimento. La complessità di questo lavoro dunque non sta solo nell’analizzare ogni singolo lavoratore in merito alla postazione, ma sta piuttosto nel condividere e rendere univoca questa valutazione. E’ stato un grande lavoro di concerto fra tutti. Ci sono postazioni dove è più difficile sospendere il personale e altre postazioni in cui più persone sono capaci di fare quella stessa attività. Si è trattato dunque di posizionare correttamente il singolo lavoratore in base alle sue competenze e alle necessità delle diverse postazioni per far funzionare bene la linea di produzione e far sì che la produttività non ne risentisse.
 
Perché questa scelta?
La decisione per cui Embraco è andata su questo “strumento” è dovuta a due fattori principali. Embraco è una multinazionale brasiliana che opera in tutti i continenti, con attività produttive in Brasile, Italia, Slovacchia e Cina. La responsabilità sociale nei confronti dei dipendenti, nonostante la situazione di crisi economica, è molto forte. Lo stabilimento italiano poi è in fase di ristrutturazione e stiamo utilizzando gli ammortizzatori sociali già da diversi anni e per questo siamo stati sollecitati dal confronto con le parti sociali a trovare soluzione alternative. E’ importante mantenere forte il “focus” degli operai per raggiungere la sostenibilità, avere cioè una buona performance economica con un buon livello di qualità e produttività. Questo lo possiamo ottenere soltanto con operai che condividano e capiscano i risultati aziendali.
 
Cosa avete fatto per fare questo, cioè per coinvolgere le persone, per far sì che condividano questa scelta e la capiscano?
In questo ultimo anno c’è stata una grande attività di coinvolgimento, di spiegazione dell’andamento dei risultati e di come tutti partecipino e condividano i risultati dell’azienda. Grande attenzione dunque è stata data alla comunicazione interna, non soltanto con i soliti strumenti (fogli informativi, comunicati aziendali) ma anche con contatti diretti e riunioni: abbiamo fatto ogni trimestre riunioni plenarie in cui il management ha avuto l’occasione di dialogare e di rispondere direttamente alle domande degli operai e poi, negli ultimi 6 mesi, ci sono state riunioni su base “itinerante”: è stato il management ad avvicinarsi alla linea produttiva, di volta in volta con piccoli gruppi. Abbiamo puntato dunque su un “avvicinamento” concreto della parte decisionale e della parte operativa.
 
Qual è stato il suo ruolo?
Per le mie esperienze pregresse, oltre ad essere direttore Risorse Umane, ho anche la responsabilità della comunicazione interna e della responsabilità sociale. Per questo ho curato sia la parte “tecnica” e cioè di competenza sullo “strumento” e nella relazione con i sindacati, sia la parte più “soft” di comunicazione e responsabilità sociale. Può capitare che questi due strumenti, queste due leve, non vengano utilizzate in sinergia. Per i risultati ottenuti nella nostra realtà, poter utilizzare queste due leve in sinergia credo sia stato un fattore interessante. In un progetto come questo, la semplice imposizione o la negoziazione standard non avrebbe dato gli stessi risultati se non fossero state supportate da un lavoro quotidiano basato sul dialogo e sulla trasparenza delle informazioni tra le parti.
 
Ora che ruolo ha la formazione?
Ad integrazione di questo contratto, sono previsti ulteriori percorsi di formazione per aumentare la polivalenza di alcune figure professionali. Negli anni passati, come detto, abbiamo utilizzato lo strumento più “tradizionale” della cassa integrazione, che è stata affiancata da piani formativi massicci che hanno visto coinvolti tutti i dipendenti anche quelli sospesi in CIGS. Ma adesso alcune delle persone che sono state fuori dall’attività lavorativa anche per 4 anni di seguito sono rientrate al lavoro e per questo stiamo pianificando apposta per loro un piano di adeguamento delle competenze tecniche e comportamentali. L’azienda si è mossa, si è evoluta, e non è più l’azienda di 4 anni fa. Per le persone che sono sempre rimaste all’interno l’obiettivo è quello di allargare sempre di più il bagaglio di competenze, per permettere loro di ricoprire un numero più ampio di posizioni lavorative e di essere quindi “meglio equipaggiate” in questa nuova sfida aziendale. Sfrutteremo al meglio anche questa leva per garantire la maggior flessibilità possibile all’organizzazione.
 
Quanto contano fiducia e responsabilità in un lavoro di questo tipo?
Dal punto di vista dell’azienda è fondamentale dare e avere fiducia nelle parti sociali nella fase di negoziazione, e conquistare la fiducia dei lavoratori. La responsabilità è un “filone” e la possiamo intendere come sostenibilità. Questi due “valori” diventano fondamentali nelle situazioni più difficili, in cui il confronto si deve basare anche sulla responsabilità delle proprie azioni e sulla fiducia della e nella controparte. E’ stato importante ricreare la fiducia dei lavoratori nei confronti del “corporate”, nell’entità azienda e in tutto il management italiano che è cambiato totalmente negli ultimi 4 anni.
 
Come si crea questa fiducia?
Sostanzialmente attraverso azioni concrete volte a migliorare la performance produttiva dello stabilimento e molto praticamente, nella conduzione quotidiana delle attività lavorativa, hanno grande importanza la comunicazione e la condivisione degli obiettivi e dei risultati, non solo quelli del management ma quelli dell’azienda in genere. E’ un approccio basato su chiarezza, trasparenza e operatività. Pur se su fronti diversi e se le posizioni di partenza sono completamente diverse, si può giungere ad una soluzione compresa e condivisa da tutte le parti, che porti poi alla sostenibilità dell’azienda e a mantenere un sito produttivo di 485 persone nel Nord Italia, cosa che in un mercato fortemente competitivo non è da poco. Questa volontà comune porta ad una grande soddisfazione, non solo per il management ma anche per i lavoratori.
 
E’ stata importante la collaborazione dei responsabili tecnici?
Le parti tecniche della produzione hanno avuto un ruolo molto importante per il disegno delle posizioni. Alla base di tutto c’è una fabbrica con la linea di produzione che deve funzionare, per questo la partecipazione dei responsabili di produzione è stata fondamentale. Le Risorse Umane, da sole, non hanno competenze di questo tipo. E’ stato creato un tavolo tecnico con le parti sindacali, le Risorse Umane e i responsabili di produzione, che hanno messo le loro conoscenze tecniche al servizio di un obiettivo comune.
 
Quante persone cercano altre vie, un altro lavoro? C’è spazio per un ricollocamento? Quanto conta la responsabilità delle singole persone in questa scelta?
Dipende, decidere di lasciare l’azienda potrebbe essere più semplice per chi al termine del periodo di mobilità può agganciarsi alla pensione. La decisione è invece più difficile invece per le persone che si trovano in età lavorativa. Nell’attuale panorama italiano, in certe zone e per certi tipi di lavoro, decidere di cambiare azienda è molto difficile. Nell’ultima procedura di mobilità, per le persone che desideravano lasciare l’azienda abbiamo utilizzato tutti gli strumenti possibili per il loro ricollocamento. E’ un processo decisionale complicato per le professionalità elevate, e ancor di più per gli operai, per i quali diventa difficile ricollocarsi pur se aiutati e supportati. La realtà dove opero è decisamente importante sul territorio e trovare altre possibilità, senza spostarsi geograficamente, può essere possibile solo in realtà più piccole della nostra. La difficoltà sta dunque anche nell’accettare di andare a lavorare in realtà industriali più piccole con strutture, accordi economici e trattamenti differenti da quelli attuali.
 
Com’è in questo momento il livello di motivazione?

Abbiamo fatto un’indagine di clima a giugno 2008 e, rispetto alla precedente del 2006, ci sono ottimi miglioramenti: questo non significa che siamo a livello 10, ma siamo senza alcun dubbio usciti dall’area rossa della demoralizzazione: la motivazione è in ripresa.

7-5-2009


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Commenti

Commenti

ANTONIO | 13-10-2011 09:07
Con il contratto di solidarieta ,quanto e giusto che io sia a casa da cira un anno e mezzo ? avendo lavorato 20 gg . essendo a 8 ore settimanali. perche??? la solidarieta dove???

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