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Populis: come si crea un mondo di media
Un’azienda dalla crescita impetuosa, pluripremiata per la sua capacità innovativa e per essere stata in grado di posizionarsi come leader in Europa fra le media company. Salvatore Esposito, co-founder e CEO di Populis, ci spiega come sono stati raggiunti questi risultati in breve tempo e senza finanziamenti.
di
Nicolò Occhipinti
Salvatore Esposito,
Co-founder e CEO di
Populis
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Nel 2010 ha vinto il Red Herring Europe 100 award, prestigioso premio dedicato alle più promettenti aziende tecnologiche private in Europa, per i risultati ottenuti, la crescita e l’innovazione. Nello stesso anno, al GP Bullhound Media Momentum Awards si è classificata al quarto posto fra le “larger media company” a maggiore crescita in Europa. Parliamo di Populis, precedentemente chiamata GoAdv, una delle media company europee a più alto tasso di crescita. I ricavi, cresciuti da 10 milioni di euro nel 2006 a circa 42 milioni di euro in soli tre anni, derivano principalmente dalla vendita di spazi pubblicitari negli oltre 500 siti web di sua proprietà visitati da più di 18 milioni di utenti unici ogni mese.
Per farvi conoscere la storia di Populis e le tappe principali del suo successo, abbiamo intervistato il suo co-fondatore e CEO Salvatore Esposito.
Un’azienda profittevole già dal primo anno dalla sua fondazione. Come avete fatto?
Quando fondai Populis nel 2004 insieme a Luca Ascani, adesso presidente della società, gestivo già con lui un’agenzia web chiamata ADVance. Ci rendemmo conto che potevamo sfruttare le competenze che avevamo sviluppato con ADVance e la capacità di generare traffico sul web per conto dei nostri clienti per cogliere un’opportunità di business molto più interessante: quella di creare noi stessi un network proprietario di siti a livello europeo attraverso il quale vendere modelli pubblicitari innovativi agli inserzionisti.
Così avete creato una società investendo solo 10.000 euro...
Sì, giusto il capitale sociale minimo necessario per costituire una Srl in Italia. E siamo molto orgogliosi di essere riusciti a sviluppare il business senza bisogno di alcun finanziamento. Era anche un periodo particolare: nel 2000 era scoppiata la bolla internet, e quasi tutti i grandi portali europei erano falliti o stavano per chiudere.
Avete subito adottato un approccio internazionale: la società è stata fondata a Roma ma in pochi mesi avete aperto una sede a Dublino. Avete rivolto immediatamente la vostra offerta a un pubblico estero, che conta oggi ben 10 paesi e 7 lingue. Perché avete valicato in così breve tempo i confini dell’Italia?
Per gestire un business internazionale è necessario avere un team internazionale, composto da persone con specifiche competenze. Abbiamo spostato l'headquarter del gruppo a Dublino in quanto in quella città avevano l’headquarter europeo i più grandi gruppi internet come Google, Yahoo!, eBay. E questo ci permetteva di attingere a un bacino di risorse importante, un network internazionale di persone giovani che parlano tutte le lingue europee e un tessuto di siti internet che crea il know-how necessario per sviluppare questo tipo di business. L’Italia purtroppo non offre questa opportunità.
Parliamo del vostro modello di business. Nella mission aziendale menzionate l’uso di un “approccio scientifico e dirompente nella produzione di contenuti”. Di che cosa si tratta?
Il punto di partenza è la notevole esperienza che abbiamo acquisito sui motori di ricerca, straordinari strumenti di analisi per conoscere veramente gli interessi degli utenti. I contenuti dei nostri siti sono prodotti in base a un algoritmo proprietario che elabora i dati sulle parole chiave più cercate nei motori, aumentando così la possibilità che i nostri articoli vengano indicizzati dagli stessi, e li combina con le opportunità di monetizzazione pubblicitaria.
Ribaltiamo pertanto la logica dei media: non è il giornalista che decide quali sono gli argomenti più interessanti per gli utenti, ma sono gli utenti stessi che esplicitano i propri interessi, e noi li soddisfiamo producendo i contenuti che rispondono alle loro esigenze.
Faccio un esempio: quando è uscito l’iPhone 4, tutte le testate tecnologiche si affannavano a scrivere subito una recensione su questo nuovo dispositivo Apple; noi invece abbiamo scoperto che sui motori venivano maggiormente cercate informazioni sul clone cinese dell’iPhone 4, piuttosto che sulla versione originale, ma nessuno si preoccupava di parlarne sul web. Abbiamo allora colto noi l’opportunità di generare traffico pubblicando articoli su questo tema.
Per produrre i contenuti dei vostri siti non vi affidate solo a una redazione centrale, ma avete creato un network di writer che collaborano non solo per ottenere visibilità, ma anche perché vengono remunerati. Quando avete introdotto questo modello organizzativo e come funziona?
Abbiamo sempre remunerato i nostri writer, ma all’inizio il team era formato essenzialmente da blogger coi quali avevamo un rapporto più continuativo. Negli scorsi mesi abbiamo adottato un nuovo modello organizzativo, lanciando la piattaforma “Populis Create”, che consente a chiunque di candidarsi come writer compilando un form. Se la candidatura viene approvata, il writer può scrivere gli articoli sugli argomenti selezionati in base ai nostri algoritmi. I contenuti vengono sempre verificati da un nostro Content Team prima di essere pubblicati. Una serie di controlli post-produzione consentono di valutare la qualità degli articoli, misurando ad esempio il traffico generato, il tempo impiegato dagli utenti a leggere gli articoli, il numero di volte che vengono condivisi sui social network. In base a questi dati viene valutata la performance del writer ed eventualmente aumentata la sua retribuzione.
Oggi è però facile realizzare un network di siti o di blog usando piattaforme multiblog tipo Wordpress Mu, ottenendo un modello simile a quello che ci ha descritto e che utilizzate per i vostri prodotti quali Blogo e Blogosfere. Non temete di essere facilmente imitati?
I dati che abbiamo raccolto in questi anni sui motori di ricerca, ottenuti anche con notevoli investimenti, sono unici sul mercato, soprattutto a livello europeo e a livello multilingua. Ci consentono quindi di ottenere un vantaggio competitivo importante. Inoltre, bisogna considerare che i prodotti che ha citato, Blogo e Blogosfere, sono dei brand riconosciuti, a differenza di tanti altri blog e network. Il traffico generato, infatti, deriva in gran parte da utenti che tornano spontaneamente sui nostri siti perché ci conoscono, e non solo perché ci trovano attraverso i motori di ricerca.
Per questo avete puntato a una crescita per acquisizioni: prima Excite nel 2007, e recentemente Blogosfere e Blogo...
No, in realtà i risultati ottenuti derivano da una crescita organica del business. Noi in genere acquisiamo i prodotti, fra cui Blogosfere e Blogo, ma non acquisiamo fatturato. Abbiamo però la capacità di farlo crescere notevolmente. Al momento, il fatturato di Populis deriva soprattutto da Excite e Better Deals, ed è ben distribuito a livello Europeo in quanto ciascun mercato non pesa più del 30%.
Che ne pensa degli articoli online a pagamento introdotti da alcune testate, ad esempio dal New York Times?
Secondo me sono modelli di business un po’ rischiosi e forse non tengono conto dell’enorme opportunità offerta dal modello pubblicitario, il quale ha invece una scalabilità infinita. Per funzionare bisognerebbe essere veramente sicuri al 100% che l’utente trovi contenuti non disponibili da altre parti, cosa che sul web risulta veramente difficile.
Non vi preoccupano i big player americani, quali AOL e Demand Media? Potrebbero entrare anche in Europa e sottrarvi quote di mercato...
Secondo me ci sono diversi fattori che rendono per loro molto complesso il mercato europeo, a partire dagli aspetti linguistici. Questi player sono abituati ad avere mercati da oltre 100 milioni di utenti che possono coprire con una sola lingua. In Europa dovrebbero creare tanti piccoli mercati, uno per ogni lingua, e questo non sarebbe per loro conveniente. Poi ci sono anche fattori di tipo culturale: gli utenti europei cercano contenuti diversi rispetto a quelli americani, e per conoscerli bisogna avere una base dati che non si crea in poco tempo.
Insomma, i big player americani non ci preoccupano. Noi abbiamo una posizione di privilegio in Europa, e intendiamo mantenerla.
28-3-2011
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