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Una storia di downshifting al femminile

Scegliere di cambiare improvvisamente vita per dare maggiore spazio alla famiglia e al tempo libero, dopo venti anni di carriera in area marketing e vendite. E' un esempio di downshifting quello di Alessia Massari, 40 anni, con un passato da direttore di divisione e poi di dirigente presso una multinazionale, come da lei stessa narrato nel libro autobiografico "Pinkshifting". Eccellere l'ha incontrata per conoscere la sua storia.

di Nicolò Occhipinti


Alessia Massari,
autrice del libro "Pinkshifting: una storia di downshifting al femminile"

Nel suo libro “Pinkshifting: una storia di downshifting al femminile” racconta la sua rapida carriera e la decisione di abbandonare improvvisamente l'azienda a soli 40 anni, di cambiare vita per dedicarsi ad altre attività: consulenza e, recentemente, personal chef. Quali sono stati i motivi più importanti che l'hanno portata a questa scelta?
E’ stato sicuramente un insieme di cause. La crisi economica, la società per cui lavoravo in difficoltà nell’attraversare un esteso cambio ai vertici aziendali, che alla fine ha investito me, i miei responsabili, alcuni dei miei colleghi in Italia e all’estero. E – per quanto possa suonare come un cliché – i miei “primi 40 anni”: una milestone significativa, in qualche modo determinante per decidere di cambiare vita. Alla fine, qualsiasi evenienza la vita ci pone davanti può diventare un’opportunità: per me lo è stata, dandomi la possibilità di prendere finalmente le distanze da un mondo che non mi appartiene più.

Che cosa ha provato il giorno dopo le dimissioni?
Una grande serenità. E sollievo, per essermi finalmente liberata da cose e persone di cui, oggi, faccio felicemente a meno!
Poi, è stato curioso: abituarsi alla vita di paese (vivo in una piccola città), ritrovare il piacere di un caffè con le vecchie compagne di scuola, perse per anni, avere tempo per fare sport, per scrivere. Un universo completamente diverso da quello in cui ho vissuto per quasi 20 anni di azienda.

Quanto ha inciso l'essere donna anziché uomo nel decidere di lasciare l'azienda?
Poco o nulla. Mi sono sempre considerata una professionista che, per varie ragioni, ha cambiato prospettiva. In questo tipo di evenienze, il genere conta poco nel determinare una scelta personale. Io poi sono una donna “anomala”, non ho mai anteposto il bisogno di una famiglia alle scelte professionali, quindi non ho mai dovuto fare i conti con la difficoltà, ad esempio, di crescere dei figli e cercare di fare carriera. Mi rendo conto che a volte per una donna può essere talmente difficile conciliare i due aspetti da arrivare a prendere decisioni drastiche come lasciare il lavoro. Non è il mio caso. Nel mio libro dico ad un certo punto “sono davvero pochissimi gli individui con cui ho avuto davvero piacere a lavorare, da cui ho imparato qualcosa, professionalmente e personalmente. Il più delle volte, ho imparato quello che non volevo essere e quello a cui non volevo assomigliare”: credo sia proprio questa la chiave di volta, rendersi conto all’improvviso che non ti assomigli più…

“Viviamo in un paese dove il merito e la bravura sono un disonore da idioti”, scrive nel suo libro. Perché, secondo lei?
Perché in questo Paese è sempre esistita una sub-cultura che ci ha inculcato che è più semplice essere mediocri tutti, che accettare di competere in modo sano ed onesto e confrontarci con chi è meglio di noi. Meglio conformarsi al gruppo, che impegnarsi per il meglio. Lo vediamo fin dalla scuola. E in molte realtà lavorative non è diverso, purtroppo.

Si è mai pentita per la scelta fatta?
Pentita mai. A volte ho pensato di avere comunque fatto una scelta egoistica, nei confronti ad esempio degli impegni famigliari. Ma tutte le scelte – quelle vere – non sono prive di risvolti. Di certo c’è che avere tempo per sé, per le proprie passioni e per i progetti personali non ha prezzo! solo così infatti ho potuto dedicarmi seriamente a quello che adesso sta diventando un lavoro “vero”: l’attività di Personal Chef, associata alla Federazione Nazionale.

Si sentirebbe di suggerire il downshifting anche ad altre persone che iniziano ad avvertire insofferenza per la vita d'ufficio?
Onestamente? No. Ci sono persone che hanno bisogno di avere una scrivania personale, un computer, un ufficio per sentire di avere un ruolo… L’insofferenza può essere a volte semplice frustrazione perché il capo non ci considera, o perché pensiamo di meritare di più. In quel caso, meglio non intraprendere un percorso che è più profondo del semplice “lavorare da casa”. Fare downshifting vuol dire spesso rinunciare a molti benefici, primo tra tutti uno stipendio fisso. Se si è pronti a questo, forse allora si può prendere in considerazione un scelta che, poco o tanto, è destinata a cambiare il proprio stile di vita in modo essenziale.

4-12-2011


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Commenti

Commenti

Alessia | 6-12-2011 09:32
Grazie Fabio, dell’interesse e delle belle parole.

Fabio riondino | 6-12-2011 01:54
Grande scelta di vita, vero egoistica, ma ci vuole tanto coraggio a mettersi in discussione che poi in pochi riescono al farlo... W chi ama la vita e chi combatte per un sogno...

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