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Luxury Brands Online

Chi vuole rimanere fuori e chi ne sfrutta le potenzialità: una riflessione sul ruolo di Internet e dell'e-commerce per i brand del lusso, con interessanti spunti emersi in occasione del 2° Luxury Summit promosso dal Sole 24 Ore.

di Elisa Scarcella

“Come fai a toccare la stoffa online?”, “Online il profumo non si sente”, “Grazie a Internet diamo informazioni e creiamo coinvolgimento intorno al brand”, “Online ampliamo e personalizziamo la nostra offerta”. Affermazioni come queste animano i dibattiti - come quello che si è svolto recentemente in occasione dell'apertura del Secondo Luxury Summit promosso a Milano dal Sole 24 Ore – generati intorno ad un tema: la presenza online dei brand del lusso.

Se pensiamo che alle ultime sfilate di Parigi Tavi Gevinson, blogger 13enne di “Stylerookie”, era seduta in prima fila a fianco di Anna Wintour, direttrice di “Vogue America”, notiamo come questo in sé possa essere un segnale del ruolo assunto da Internet anche per le aziende della moda e del lusso, che online comunicano la propria identità, fidelizzano milioni di followers, dialogano con personaggi in grado di influenzare nelle scelte d'acquisto, e, con apposito store, vendono i propri prodotti.
Nuove dinamiche per nuovi consumatori: una rivoluzione, che non sempre è vissuta appieno dai luxury brands, specialmente in riferimento al commercio elettronico e ai social media.

I brand del lusso hanno cominciato ad usare internet molto lentamente e, ancora oggi, spesso la presenza online è considerata meramente funzionale a fare da vetrina, per fornire informazioni dettagliate su prodotti e punti vendita, rimandando il pubblico affluent allo store o, in alcuni casi, lasciandolo comodamente a casa ad aspettare una visita dagli incaricati.
Mentre i negozi old economy hanno risentito della crisi economica, quelli online hanno visto le lore vendite rimanere alte anche durante la recessione e oggi continuano a crescere. Non riescono però a convincere alcuni brand. Per fare esempi sempre nell'ambito del Summit, Davide Traxler, AD Chopard Italia, spiega così la scelta di non vendere online: “Il nostro è un acquisto emozionale, Internet invece è un mezzo freddo; per noi è un canale utile soprattutto nell'ambito della lotta alla contraffazione; teniamo conto poi che i nostri prodotti generalmente sono acquistati per essere regalati ad altri, non per se stessi, quindi la visita in negozio è obbligatoria”. Altre motivazioni portano alla medesima conclusione anche Antonio De Matteis, AD Kiton (celebre maison napoletana di abbigliamento maschile): “Internet è un ottimo mezzo di informazione ma non di vendita per noi, perché i nostri capi devono essere toccati con mano ed il rapporto con il cliente diretto, personale, esclusivo, gestito necessariamente nei nostri store o, per chi lo preferisce, a domicilio”.

Gli oggetti di lusso più venduti online sono l'abbigliamento e gli accessori; ad essi si aggiungono molti servizi come i viaggi. Un matrimonio possibile dunque? Non sempre. In questo contesto la parola che sembra fare la differenza è “fiducia”. La fiducia che in alcuni casi i luxury brands non hanno verso le potenzialità o l'idoneità dell’e-commerce alle loro finalità, e la fiducia che invece mostrano proprio i consumatori wealthy informandosi ma anche acquistano online, là dove trovano i brand che già conoscono e di cui, appunto, si fidano. Una brand awarness che sicuramente è generata da strategie e mezzi di tipo “tradizionale”, ma che online può essere rinnovata ed anche estesa, ad esempio con la vendita di linee di prodotti esclusivi e delineati dal cliente stesso ( pensiamo ad es. sul sito di Louis Vuitton è possibile creare e ordinare una borsa personalizzata, scegliendo monogramma, modello, dimensioni, colori). Più predisposto in questo senso si mostra, sempre nell'ambito del Luxury Summit, Stefano Sassi, AD Valentino Fashion Group: “Il nostro brand ha diverse linee, tra cui R.E.D. Valentino, pensata per la clientela giovane e disponibile in vendita nello store online. Siamo convinti infatti che la proposta di nuove linee non significhi una perdita di qualità e che anche la community online sia un importante riferimento per il nostro brand, che negli ultimi anni sta sempre più svecchiando la propria immagine”.

Molti consumatori affluent, giovani ma anche al di sopra dei 55 anni, utilizzano i social media, (soprattutto Facebook e LinkedIn), dove trovano persone con i loro stessi interessi, per creare fan pages, per realizzare sondaggi e chiedere pareri, ma anche per vendere. Molti, specialmente in Giappone e in altri paesi asiatici, acquistano moltissimi prodotti dal proprio cellulare.
Opportunità che molti brand del lusso non si lasciano sfuggire: i più seguiti tra i fashion brand nel servizio di social network e microblogging sono Lacoste USA, Burberry, Calvin Klein, Christian Dior e Gucci. Esclusività ed accessibilità trovano la naturale espressione online, dove è possibile raccontare il proprio brand, coinvolgere le persone in esperienze nuove, costruire relazioni dirette con i clienti ed ascoltarli senza filtri, personalizzare l'offerta.

Potenzialità ben note a Federico Marchetti, fondatore e AD di Yoox Group, il partner globale di Internet retail per i principali brand di moda & design, che al Luxury Summit ha sottolineato: “Multibrand o monomarca, le nostre piattaforme aiutano i brand a dialogare con i clienti, che non son più i negozianti ma le persone. Anche online è possibile comunicare emozioni e creare relazioni con i clienti;non solo, online è possibile ciò che negli store tradizionali non lo è, ad esempio seguire in diretta le sfilate di moda. Noi aiutiamo i brand a rendere l'esperienza d'acquisto online divertente e memorabile, con strumenti come il fashion film e i corti cinematografici. Anche il ruolo dei social media è importante, ma il loro utilizzo va strutturato e ancora oggi regna troppa confusione su questo canale. Non dimentichiamo che ogni strategia ha senso solo se viene fornito il servizio finale, ossia che l'acquisto vada a buon fine ed il prodotto consegnato. A questo pensiamo noi, lasciando ai brand la tranquillità per concentrarsi su altro”.

17-7-2010


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