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Cina: lanterne rosse (d'allarme)

Alla luce dei nuovi dati economici e dello stato di salute dell’economia mondiale, una attenta analisi può rivelare scenari trascurati e più convenienti. Le strategie per un sourcing di successo anche durante una fase di recessione globale.

di Andrea Pellicani

In un quadro globale orientato verso la recessione, un paese che cresce del 9% su base annua negli ultimi due trimestri non può far che pensare al miracolo; non fosse che il paese in questione è la Cina, il paese delle opportunità e dei record. Cresciuta per l’ultimo decennio consecutivo ai ritmi ben più sostenuti dell’11%, un differenziale così basso, considerando dimensioni dell’economia e della sua popolazione, ha comunque importanti effetti macroeconomici e sociali. La Cina frena dunque, e le cause non sono da ricercarsi solamente nella repentina frenata del suo export verso Stati Uniti ed Europa o nell’inevitabile calo della domanda che segue la fase post-olimpica. Scopo di questa analisi è capire l’attuale dinamica in corso, le cause ed una conseguenza sorprendente del cambiamento:  se la Cina frena il suo export, è anche e perchè non è più da considerarsi la fabbrica del pianeta con prezzi sempre a saldo.

Comprare qui, così come fare business, è diventato molto più caro e continuare a rincorrere il dragone in affanno può rivelarsi poco saggio. Vediamo perchè.

Analisi dei fattori
C’è un organismo in Cina tanto potente quanto misterioso: è il Politburo, fulcro decisionale e massima espressione politica del partito comunista, di cui si conoscono i membri – le più alte cariche statali e regionali – ma non i sistemi decisionali e la frequenza delle sue riunioni.
Ebbene, i suoi piani di medio termine e tutte le diverse politiche intraprese dal governo su moneta, lavoro, incentivi fiscali sembrano puntare in una direzione: il paese è destinato a trasformarsi da fabbrica del mondo a paese consumatore netto e capace di esportare qualità e tecnologia.
Molte sono le componenti fisse e variabili di costo più imputate come cause dell’attuale dinamica dei prezzi. A soffrire di più saranno le produzioni di qualità bassa, quelle che hanno reso la Cina un paradiso per lo shopping industriale a bassissimo costo.
Un’oramai libera fluttuazione dello yuan ed il suo continuo apprezzamento nei confronti del dollaro non fermerà a breve il suo corso, nonostante un aumento di un quinto di valore nell’ultimo biennio. Considerando che il 40% dell’export è destinato agli Stati Uniti, realmente sul baratro di una crisi finanziaria, produzioni sempre più care spingeranno fuori dal mercato migliaia di produttori del settore manifatturiero che hanno sempre contato su margini risicatissimi ma enormi capacità produttive per raggiungere i loro obiettivi di profitto. Lo stesso export è stato colpito dalla riduzione del rimborso della tassa sull’esportazione, per pressoché la maggioranza assoluta delle categorie merceologiche, che va a scaricarsi sul prezzo del prodotto. L’aumento anche a tre cifre percentuali delle materie prime, per le produzioni manifatturiere ha in alcuni casi significato avere listini prezzi aggiornati settimanalmente e non certo al ribasso. In una mossa destinata ad aumentare le garanzie e le condizioni di vita dei lavoratori poi, il costo del lavoro, aumentato con la nuova legislazione di un netto 40%, ha costretto alla chiusura altrettante fabbriche già alle prese con manodopera infedele, non specializzata e fuga verso i settori a più alto contenuto tecnologico. Un’altra voce di costo, non troppo spesso messa in conto nell’attività di sourcing, è quella del trasporto. Le tariffe di nolo marittimo in continuo aumento, nonostante una maggiore offerta di capacità apportata dai nuovi giganti dei mari, fino a 20000 teus o containers di portata, e compagnie aeree non sufficientemente coperte dal rischio aumento dei costi del carburante, hanno comportato un ulteriore aumento del 30% al prodotto del pezzo finito.
Per chi in Cina comprava con la stessa sicurezza di chi compra all’hard discount e per meglio gestire i suoi acquisti gestisce una propria sede, le notizie negative non sono finite. Intuendo squilibri poco chiari fra perdite dichiarate e redditizie attività off-shore – da leggere Hong Kong – la Cina ha aumentato la sua base fiscale, finora vantaggiata, per le imprese straniere, al 25%. Aggiungendoci i costi totali di struttura, lievitati nelle maggiori città, ed il costo del lavoro, la somma, passando dalla matematica alla interpretazione di quello che era il sogno Made in China, ci dice che è il caso di ripensare a quel 9% iniziale: è un dato più profondo che deve imporre il ripensamento delle strategie di acquisto e sourcing sui mercati mondiali e forse anche locali?

Il grande esodo
Se di vera e propria fuga dalla Cina non si può - ancora - parlare, è tempo per riconsiderare il quadro globale. Migliaia di imprenditori visionari o soltanto ben informati di Hong Kong, Taiwan e della stessa Cina, che per anni hanno potuto macinare guadagni con le loro fabbriche (inquinanti) nel sud e su tutta la fascia costiera, hanno già da qualche anno iniziato a traslocare le loro produzioni in altre zone del Sud est asiatico, e non solo per far fronte alle quote all’importazione adottate tra gli altri dall’Unione Europea. Paesi come Thailandia, Cambogia, Vietnam hanno visto rivitalizzarsi o addirittura nascere intere catene produttive e settori manifatturieri; in un processo ancora in evoluzione, hanno saputo offrire condizioni vantaggiose non sono fiscali ai nuovi arrivati. Certamente ci sono le gravi carenze infrastrutturali, corruzione ancora diffusa ed una legislazione carente sulla protezione degli investimenti stranieri e della proprietà intellettuale; ma queste possono essere controbilanciate da forze di lavoro più economiche che quelle cinesi (basti pensare che assumere un ingegnere meccanico costa più a Shanghai che a Praga), incentivi agli investimenti stranieri, restrizioni più limitate sui trasferimenti di fondi all’estero (un vero e proprio rompicapo in Cina), rendendo estremamente competitivi i loro prodotti. Come poi negli Stati Uniti ci si rivolge sempre più al vicino Messico, l’Europa e l’Italia in particolare potranno con successo sempre più guardare alle parti dell’Est europa o in aree depresse della zona Euro come opportunità manifatturiere a basso costo, valutando la sensibilità dei margini del business.
E, nel frattempo, assistere a come ancora una volta l’imprevedibile popolo cinese saprà trarre vantaggio dal corso degli eventi. Quelli voluti dal Politburo.

 

7-11-2008


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