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Matteo Daste: con Baia al fianco degli imprenditori italiani nella Silicon Valley.
L'Europa ha ottime capacità di fare ricerca, il problema è lo scarso confronto con il mercato. Questa l'opinione di Matteo Daste, avvocato genovese da anni in California, dove segue le start up che avvicinano i grandi capitali per sviluppare progetti. Da queste esperienze nasce Baia Network, una pista d'atterraggio per gli imprenditori italiani che arrivano negli Stati Uniti.
di
Enrico Ratto
Matteo Daste ha trentatre anni, vive in California ed è socio di uno studio legale di San Francisco. E’ advisor per diverse start up, si confronta con venture capital che funzionano davvero: qualcosa che lui stesso, pur amando l’Italia e il suo tessuto imprenditoriale, oggi reputa poco immaginabile se dieci anni fa fosse rimasto a Genova per concludere il suo corso di studi. Tre anni fa, insieme a Giorgio Ghersi e Michele Orsino, ha fondato un network per raccogliere esperienze e contatti tra gli italiani che hanno seguito la stessa strada, e che oggi si confrontano con il dinamismo continuo della società americana. E’ nata così Baia (Business Association Italy America) riunisce su diverse piattaforme (on line su Linkedin e Ning), offline attraverso una serie di eventi periodici in Italia e Stati Uniti.
Con quale spirito nasce Baia Network?
Baia è stata costituita poco più di tre anni fa, e nasce da un’idea mia, di Giorgio Ghersi e Michele Orsino. Mancava un’associazione di stampo italiano che creasse un network di interesse per manager, imprenditori, professionisti italiani che lavorano negli Stati Uniti.
I modelli associativi proposti dalle istituzioni non erano sufficienti?
Un modello piramidale difficilmente può funzionare con i professionisti della Silicon Valley: questo è il territorio dove sono nati i social network, dove si sono sviluppate le comunità orizzontali a stretto contatto con le esigenze dell’azienda. Si tratta di modelli dove ogni membro può trarre direttamente vantaggio interagendo con la propria rete.
E come interagiscono i membri del network?
Per esempio attraverso gli eventi. Anche in questo caso c’è la massima libertà: gli eventi devono seguire un certo format, ci sono alcune linee guida, ma per il resto tutto è personalizzabile dagli organizzatori dell’evento. L’importante è che non ci siano fini politici.
Gli eventi, ma anche la vita on line, naturalmente…
Sì, la community on line è formata da circa 500 iscritti. Circa 100 persone sono supporter, donatori volontari, poi ci sono altre persone che partecipano alle discussioni, animano la community. In mailing list abbiamo più di 5000 contatti.
Quante Baia esistono?
Baia è San Francisco, Los Angeles, Boston, Milano e Roma. In California tutto il gruppo di professionisti italiani è entrata in Baia e, ormai, ogni mese viene organizzato un evento a San Francisco o Palo Alto.
Quale valore porta Baia?
Baia non offre servizi, ma offre un canale da utilizzare in maniera molto pratica per mettersi in contatto con altri colleghi che operano nelle stesse regioni americane. Baia è nata di fatto a San Francisco, ma ogni regione americana ha le proprie peculiarità. Per questo è importante confrontarsi con chi già opera sul posto. Offriamo una pista d’atterraggio già pronta.
Come viene regolato il network? O meglio, viene in qualche modo regolato?
Questo è un punto rilevante: il network orizzontale ha il vantaggio di marginalizzare autonomamente chie non segue le regole, senza qualcuno preposto a decidere.
Che genere di imprenditori o professionisti sono i vostri associati? In quali settori operano?
Chi lavora in California, opera principalmente nelle nuove tecnologie, nei software e nelle energie rinnovabili.
Con quale approccio un italiano atterra in California?
Molto vengono qui per ragioni di studio e ricerca e poi si fermano, a me è successo così. Molti iniziano con collaborazioni con grandi aziende, come Google, e poi decidono di rimanere e avviano la loro start-up. Poi c’è una seconda categoria: sono imprenditori italiani che hanno già un’azienda in Italia e che hanno esigenza di iniziare un confronto su scala globale. Q ueste persone costituiscono aziende parallele in California: nell’azienda americana entrano capitali e risorse intellettuali, mentre in Italia continuano a funzionare il reparto ricerca, sviluppo e produzione.
Non si corre il rischio di trovarsi con due aziende che procedono a due velocità diverse?
In California la metà delle aziende è fondata da persone che non sono nate qui. Qui un’azienda può funzionare se hai un’idea buona e riesci a raccogliere denaro. Ma la differenza con l’Italia è che non puoi vivacchiare per trent’anni, c’è troppa competizione. Se la tua azienda funziona, lo vedi subito, altrimenti fallisci e ricominci con un altro progetto.
Perché un europeo dovrebbe venire a fare ricerca e sviluppo in California?
A mio avviso in Europa la ricerca non ha nulla da invidiare alle strutture americane. Il problema sta nel confronto con il mercato. In Italia, in Europa, la ricerca è troppo distante dal mercato e lo sviluppo di nuove idee, di nuovi progetti, difficilmente si concretizza poi in un progetto di business, restano genesi accademiche. In California la ricerca si confronta continuamente con il mercato.
Anche nel settore legale, c’è molta ricerca e ci si confronta con il mercato?
La mia professione è molto vicina alle aziende, è un ruolo di advisor, non vado in tribunale. C’è quindi molta ricerca sui nuovi strumenti di investimento che nascono e crescono con tempi di reazione molto rapidi, a questo abbiamo assistito durante l’ultima grande crisi finanziaria.
21-4-2009
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