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L’ EVOO italiano di qualità superiore: un putiferio intorno
Considerazioni sul mercato dell'olio extra vergine di oliva italiano: la tradizione di un prodotto di qualità e la necessità di promuovere un consumo informato e consapevole.
di
Marco Minossi
Sottoponiamo alcune considerazioni sul binomio, anzi sull’antinomìa Qualità-Conoscenza che contraddistingue il meraviglioso prodotto denominato Olio Extra Vergine di Oliva (EVOO, Extra Virgin Olive Oil). Sentiamo il bisogno di farlo, al di là del fatto che abbiamo appena incontrato buyer giapponesi in Umbria, e li abbiamo poi dirottati a visitare quello che è il frantoio a metodo tradizionale più qualitativo che c’è nelle Marche, e forse non solo lì. Ancora, al di là del fatto che l’autunno è la stagione della più alta qualità dell’Italian Food, nel nome del periodo sorgìvo del tartufo bianco e dell’ EVOO. Ed anche al di là del fatto che da Ancona si avvertono l’epicentro e l’eco di una miriade di iniziative che rendono difficile capirle e seguirle tutte.
Si organizzano infatti una serie di iniziative agro-alimentari talmente numerose, che risulta difficile viverle tutte come ci piacerebbe. Abbiamo la mostra-mercato dei prodotti biologici (dove l’ EVOO spadroneggia a pari merito con i vini) ad Ancona, che sarà nel week-end un bagno di folla ma una secca di acquisti. C’è la tradizionale mostra-mercato dell’olio e dell’oliva a Cartoceto, con i frantoi aperti nel pesarese circostante, idem a Scapezzano di Senigallia, con la Festa dell’Olio Nuovo. E’ prevista poi l’iniziativa “Impariamo a conoscere l’Olio Extra Vergine di Oliva “ dell’Agenzia per l’internazionalizzazione della camera di Commercio di Ancona, organizzata con assaggiatori presso un frantoio che lavora con impianto a ciclo continuo.
Più orientata sulla ristorazione è “ Appunti di Gusto “, con la didascalia “lezioni di Food&Fashion ” presso ristoranti e luoghi di degustazione dell’Anconetano; qualche altro evento ce lo stiamo dimenticando o ce lo siamo perso, ma la testa già ci gira un po’ dopo gli assaggi del vino, e qualcos’altro idem dopo gli assaggi degli oli.
Tanti bruscolini locali, insomma, rispetto a quanto sta accadendo nella Business Community del settore agro-alimentare a livello internazionale, nel quale l’elenco degli eventi promozionali sarebbe interminabile, tra fiere, workshop ed incoming.
Ben venga allora sì questo autunno, con l’augurio che le tante, troppe foglie secche che troveremo per terra altro non saranno che milioni di frammenti di ignoranza, e di propagandistica disinformazione; quelli cioè che troppi produttori di EVOO, e davanti a loro i cosiddetti esperti, i giornalisti e gli chef, e dietro di loro i produttori di impianti di cui essi diventano ventriloqui ambasciatori culturali, cercano di propinare a tutti noi nelle Marche, in Italia e all’estero.
Non intendiamo mettere l’accento sul problema delle cisterne di Olio provenienti da Spagna e Tunisia nei porti di Genova e Livorno, o in altri porti dalla Grecia, e poi “rivenduti” come Olio Extra Vergine di Oliva Italiano (la famosa trappola della bottiglia di EVOO il cui prezzo oscilla anche poco sopra o poco sotto i 3 Euro a bottiglia negli scaffali dei supermercati, frutto delle miscelazioni illecite e della successiva applicazione del deodorato, per rimuovere difetti e cattivi odori ). Questa la riteniamo una forma di ignoranza volontaria, consapevole da parte del consumatore finale, e ben vengano indagini anti-contraffazione come l’ “Operazione Arbequino“ della Procura di Siena, ad esempio.
Del resto, avere EVOO chimicamente perfetti, ma non italiani all’assaggio, è purtroppo abbastanza semplice; chi produce Olio Extravergine di Oliva esclusivamente italiano non può quindi che essere in difficoltà sui costi, soprattutto quando – come arte richiede – possiede e gestisce le piante, la raccolta dei frutti e l’opificio.
Solo un pensiero ci viene in mente prima di passare oltre: che peccato avere snaturato e impoverito in questo modo tale prodotto; ma che grande opportunità per quei pochi che sapranno usare le leve della serietà, della tradizione, della conoscenza e della corretta comunicazione!
Desideriamo considerare invece quali sono le FAQ, le domande più comuni che investono una certa tematica, che vorremmo ricevessero risposte mai strumentali, mai caduche come le foglie, e per le quali vorremmo che l’autunno e l’Inverno della propaganda strumentale e fuorviante non arrivassero mai più.
La prima risposta che sarebbe musica per le nostre orecchie e pace per il nostro spirito etico sarebbe questa: sì, è vero, noi portiamo le nostre olive ad essere lavorate in un frantoio esterno, che pur garantendoci la massima attenzione durante la produzione, non è il nostro. Quindi, nostro non è il know-how, e forse non è neppure quello del frantoiano di fiducia, ma deriva in realtà dal produttore dell’ impianto, nel caso in cui quest’ultimo sia a ciclo continuo. Sì, stiamo lì presenti mentre lavorano le nostre olive, ma non possiamo dettare che i tempi di trasformazione siano di massimo quattro ore da quando gliele abbiamo portate, né sappiamo se per altri abbiano accettato o rifiutato di lavorare anche olive cattive, né tantomeno possiamo conoscere se per avviare le prime produzioni avevano usato le olive, oppure magari la sansa presa da qualcun altro.
Si crea quindi un momento di forte discontinuità, molto spesso, tra la coltivazione, la raccolta, la selezione delle olive buone da mandare in lavorazione, e l’imbottigliamento: questo “piccolo particolare” si chiama produzione, che fa vendere a molti come “loro” un prodotto che loro non è.
La domanda sorge allora spontanea: compreremmo mai – non diciamo “un” Michelangelo – ma un biglietto di museo per vederne un’opera, sapendo che il sommo artista ha fatto i cartoni preparatori, ha elaborato lui i colori in modo tale che potessero essere idonei per un intonaco, ma ha demandato ad un artigiano esterno il dipingerla? La vera risposta non sarebbe un semplice “no” ma puntualizzerebbe che, a tali condizioni, sommo artista egli non sarebbe mai stato considerato, tantomeno storicizzato.
Chi produce l’EVOO con il metodo di lavorazione delle olive “ a ciclo continuo”, è solito “cavalcare” forsennatamente una certa argomentazione conto il sistema produttivo tradizionale, quello che usa le molazze di pietra. Ci riferiamo alla propaganda sul pericolo di ossidazione che egli getta su tale metodo, quale anatema sul prodotto e sul produttore. La persona consapevole sa invece che i produttori seri, tra quelli che utilizzano le presse tradizionali, sostituiscono continuamente i filtri di polipropilene (cosiddetti “fiscoli” ) vecchi con quelli nuovi. Questo loro accorgimento fa sì che l’unica forma di “ossidazione” possibile siano in realtà i profumi (che altro non sono infatti che la reazione chimica tra una sostanza e l’ossigeno); e allora, solo chi è al corrente di ciò avrà la capacità di esercitare una difesa sulle proprie scelte di acquisto e di degustazione del prodotto fatto con metodologia artigianale.
Del resto, se siete entrati qualche volta in un opificio che lavora con le presse, la differenza qualitativa l’avete percepita senz’altro già nel momento olfattivo dell’ingresso nei locali di produzione, prima ancora che in fase di assaggi, e poi negli abbinamenti dell’olio al cibo in casa propria o al ristorante.
Diamo appuntamento alla prossima eliminazione - dalla tematica della qualità senza compromessi - degli argomenti fuorvianti, che cercheremo di attuare nello stesso modo in cui i produttori seri di EVOO scartano le olive non idonee, e si rifiutano anche di prenderle in lavorazione per conto di terzi nel proprio frantoio.
26-11-2013
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