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Siamo sicuri che la crisi stia finendo?

In questo momento ci sono le stesse condizioni esistenti nel 2007 che hanno poi partorito il crack. Eppure le aziende meglio organizzate e con valide risorse umane stanno vivendo un grande momento nei mercati esteri.

di Michele Lenoci

Parafrasando il famoso tormentone degli anni ottanta “L’estate sta finendo” cerchiamo di capire come stanno effettivamente le cose nella sempre più burrascosa “economia globalizzata”. Sono almeno 12-15 mesi che sentiamo la magica frase “stiamo uscendo dalla crisi”, “il peggio è alle spalle”, etc., ma guardandoci intorno ci sembra che chi dice ciò faccia come la famosa orchestra del Titanic che suonava tranquillamente mentre la nave affondava.

Facciamo una breve analisi:

1)   Inizio (e colpevoli) della crisi: verso la fine del 2008 inizia a scoppiare la bolla immobiliare USA poi ricaduta nei famosi prodotti finanziari “derivati”. Gli artefici sono stati principalmente le banche d’affari con la complicità di buona parte del sistema bancario, di governi ed agenzie di controllo e di rating che o non controllavano o, spesso, erano complici; ed economisti che facevano finta di non capire. La ragione? Tra le altre gli enormi guadagni che questi prodotti garantiscono ai soggetti coinvolti, allargando le connivenze. Per amore di verità ci fu’ qualche economista che cercò di avvisare (come l’americano Roubini), ma furono ignorati se non proprio sbeffeggiati.

2)   Situazione attuale: la crisi ha costretto gli Stati ad intervenire pesantemente per salvare sia le banche commerciali che le banche d’affari (tranne Lehman Brothers che è stata la vittima sacrificale) aggravando i deficit statali che poi saremo noi cittadini a pagare. Basta vedere cosa sta accadendo in Irlanda, paese simbolo per il buon uso dei fondi strutturali UE e per la sua crescita economica negli ultimi 15 anni e che adesso finisce in rovina perché ha dovuto salvare le sue banche indebitando oltre ogni misura lo Stato. O paesi che erano cresciuti artificialmente grazie alla bolla immobiliare e che adesso stanno pagando in modo pesante le conseguenze (come Dubai e Spagna). Purtroppo queste azioni di salvataggio non hanno impedito negli USA una enorme catena di fallimenti bancari, solo nel 2009 sono fallite 149 banche e nel 2010 ben 175. Inoltre mentre per molte imprese questo biennio è stato un vero e proprio “bagno di sangue”, per le banche d’affari è stato il periodo più roseo mai avuto, con utili e profitti record. Il paradosso e’ che questa situazione non ha insegnato nulla, tanto e’ vero che non solo i prodotti finanziari “derivati” continuano ad essere messi in circolazione, ma le rivolte popolari che stiamo vedendo in questi giorni nel Magreb hanno tra le cause la speculazione nelle materie prime che hanno impennato i prezzi alimentari. E sapete chi sono gli operatori? Gli stessi speculatori del mondo finanziario!

3)   Prospettive: solo un terzo dei “derivati” che hanno originato questa crisi sono usciti allo scoperto, mentre gli altri due terzi sono in giro per il mondo e scoppieranno nei prossimi anni. Questo spiega perché le banche sono così rigide nel concedere crediti e cercano di avere quanti più soldi possibili nei loro forzieri per poter resistere alle prossime esplosioni. La disoccupazione e’ in aumento e questo comporta che ci saranno meno persone con soldi da spendere e, di conseguenza, meno prodotti che si venderanno, creando la situazione del cane che si morde la coda, aumentando il numero di aziende in crisi. Paesi come gli Stati Uniti stanno vivendo una disoccupazione che non si vedeva da decenni, con settori come l’Information Technology, che prima attraevano persone da tutto il mondo, e che invece adesso li espelle. La situazione è così grave che molti figli stanno tornando a vivere con i genitori (in un paese dove per cultura era quasi obbligatorio lasciare la casa a 18 anni) perché non possono permettersi di vivere da soli sia per la perdita del lavoro che per la sottoccupazione (lavori mal pagati). E se vi sembra poco qualche settimana fa il segretario al Tesoro degli USA Timothy Geithner ha parlato esplicitamente di rischio default per gli Stati Uniti (cioè che possono fare la fine di Grecia e Irlanda), mentre quasi la metà degli stati è in bancarotta.

In questo momento ci sono le stesse condizioni esistenti nel 2007 che hanno poi partorito il crack. Dunque le imprese non stiano dietro alla finestra ad aspettare una ripresa economica che difficilmente ci sarà (augurandoci di sbagliare).

La ripresa invece c’è già, e sarà sempre più vigorosa, per coloro che sono in grado di costruirsela da soli utilizzando tutti gli strumenti a disposizione (in primis personale altamente qualificato) in grado di gestire i sempre più complessi e difficili mercati globalizzati.

Infatti tra le particolarità di questa situazione vediamo aziende che non riescono a stare dietro agli ordini che arrivano dall’estero, mentre magari un’altra azienda dello stesso settore e che ha la sede a pochi metri chiude i battenti per mancanza di commesse. Prima si potevano individuare aree omogenee di sviluppo industriale in Italia (tipo il nord-est), mentre oggi invece dobbiamo scendere alle singole aziende, sulla base delle strategie ed investimenti effettuati negli anni scorsi. Coloro che hanno lavorato nella formazione seria del personale, nelle azioni costanti e mirate di penetrazione commerciale estera, nell’uso degli strumenti a sostegno delle attività (marketing, contrattualistica, pagamenti, logistica, etc.) oggi raccolgono i frutti, mentre chi andava senza strategie e cercando di spendere il meno possibile spesso si trova in una situazione critica. Come citato qualche giorno fa nel II° rapporto dell’Osservatorio Nazionale sui Distretti Italiani: “Le aziende migliori crescono sempre di più, mentre quelle marginali rischiano la chiusura. La differenza tra i due “poli” è determinata dalle strategie applicate: le imprese che registrano performance brillanti di bilancio sono quelle che, oltre a puntare sulla qualità di prodotto e sull’affermazione del marchio, hanno orientato gli investimenti sul controllo diretto dei canali distributivi, soprattutto all’estero”.

La maggior crescita nella domanda a livello mondiale arriva dai paesi cd. “emergenti” (India, Turchia, Cina, Russia, America Latina, etc.) sia perché meno colpite dalla crisi, sia perché sono economie in grande e costante crescita. Ma sono mercati complessi e di difficile gestione, e non solo per un problema di distanza fisica. E’ in questi mercati che tante aziende riescono a fare il fatturato che invece diventa sempre più ostico da fare non solo in Italia ma, più in generale, nei saturi mercati avanzati (Europa e USA in primis).

29-5-2011


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