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Il Search Engine Marketing tra brand e PMI
Emiliano Carlucci dedica un libro, edizioni Hoepli, al SEM e all'utilizzo per le aziende. Il libro è l'occasione per fotografiare il Search Engine Marketing nel 2010, dopo anni di evoluzione e mutamenti, e spiegare quali sono oggi gli strumenti a disposizione di brand affermati e PMI. Eccellere ha intervistato l'autore.
di
Enrico Ratto
In una parte del suo libro lei parla di "crossmedialità" e di collocare il keyword advertising all'interno di una strategia complessa, E' ancora utile misurare una causa-effetto tra ogni singolo canale di promozione e la vendita del prodotto? Oppure, visto che la contaminazione tra i canali è sempre più intricata, è preferibile ragionare su risultati "aggregati"?
Oggi molti consumatori ricorrono ai motori di ricerca per trovare informazioni, commenti e recensioni su ciò che stanno cercando. Allo stesso tempo, queste persone sono esposte al bombardamento pubblicitario che avviene attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali. Il risultato che appare sui motori di ricerca, pertanto, è perfettamente inserito all'interno dell’esperienza di ricerca. Un’esperienza che continua, si intensifica e si valorizza attraverso modalità di interazione che mirano a creare attenzione, engagement e reputazione attorno al brand. Determinare scientificamente l'influsso di ogni mezzo e canale di comunicazione in un processo psicologicamente complesso come quello di decisione e d'acquisto è il sogno nel cassetto di ogni marketer. Un sogno ad oggi ancora irrealizzato, almeno stando all'evidenza. Secondo una recente indagine condotta da SEMS, solo il 13% delle aziende usa sistemi di attribution modeling con i quali poter stimare l’incidenza delle varie attività di marketing online sui risultati raggiunti. Il 59% delle aziende non li utilizza e non è interessata a farlo. Il 15% vorrebbe farlo, ma non ne ha le competenze. Il rimanente 13% utilizza come parametro di attribuzione il cosiddetto ultimo clic. Per questo implementare sistemi di attribution modeling è il primo passo verso l'adozione di un approccio olistico in grado di misurare e valutare i singoli canali di comunicazione per poi inserirli in un contesto interdisciplinare e globale.
La nascita del Keyword Adv è stata salutata così: finalmente l'advertising per tutti, anche le PMI possono accedere ad un mercato ampio con investimenti contenuti. Ciò che era nato per essere alla portata di tutti lo è ancora?
Google AdWords è uno strumento che si adatta perfettamente alle PMI. La piattaforma è semplice da usare, l'interfaccia è molto intuitiva e il centro di assistenza online di Google è ben strutturato. Insomma chiunque teoricamente può avvicinarsi al keyword advertising senza troppi problemi. Il discorso semmai è un altro. Saper realizzare tecnicamente una campagna di keyword advertising serve a poco o nulla se gli interventi non avvengono con l'adeguato know-how e la giusta tempestività. Per questo, al di là di ogni tecnicismo, l’esperienza e l’intuito di chi gestisce le campagne sono fondamentali. La capacità di intervenire prima di toccare con mano l’evidenza è una caratteristica non sempre facile da trovare sul mercato. Mai come oggi, in un periodo in cui vige la legge del quality score, l’esperto di search engine marketing è più un "guru" (mi si passi il termine) che un analista. E in mancanza di quel quid in più, ogni intervento rischia di essere scontato e, soprattutto, di avvenire fuori tempo massimo.
Il keyword advertising ha rilanciato l'uso della parola scritta. Tutto ciò che era tabellare (on line e off line) è stato per anni quasi esclusivamente immagine, poi sono arrivati gli annunci contestuali da 100 caratteri. Ci sono tuttavia alcune modalità di pubblicazione di annunci animati, filmati, etc. Secondo i suoi dati, hanno realmente successo?
Gli annunci di testo sono senz'altro i più utilizzati. Se non altro perché su Google e i suoi search partner gli inserzionisti possono optare soltanto per questo tipo di creatività. Sul content network (il circuito AdSense per intenderci) inizia a farsi strada l'uso dei cosiddetti annunci illustrati (immagini e filmati), sicuramente più impattanti degli annunci testuali e, rispetto al display classico, in grado di sfruttare la contestualizzazione che offre l'algoritmo di Google. Secondo fonti accreditate in Google, gli annunci illustrati hanno un costo conversione più basso del 35% rispetto al search e un click-through rate quasi due volte più alto degli annunci testuali. Perché dunque la maggior parte degli inserzionisti preferisce il testo? Semplice: produrre creatività testuali è più semplice e veloce. Per colmare (almeno parzialmente) questo gap, Google ha introdotto il Display Ad Builder, un tool molto utile che consente di creare la propria creatività display in pochi minuti.
Lei dedica una parte del suo libro alla long tail delle parole chiave. Come si possono mixare correttamente una strategia di "long tail" con parole più competitive, generaliste, ma che generano più traffico?
L’espressione coda lunga o long tail è stata coniata da Chris Anderson in un articolo pubblicato nel 2004 su Wired per definire la rivoluzione che si sta realizzando in tutti quei mercati esposti all’offerta pressoché illimitata di servizi come Amazon, eBay, iTunes Store e altri piccoli e grandi distributori di contenuti virtuali. In base al concetto di long tail, i prodotti poco popolari o a bassa ampiezza (la coda lunga, appunto) possono, tutti insieme, superare in numero o in rilevanza la porzione iniziale della curva, costituita dai prodotti più popolari o ad alta ampiezza. In sostanza, le centinaia di migliaia di canzoni sconosciute al grande pubblico e vendute su iTunes store rischiano di pesare più di qualche decina di canzoni di Madonna.
Nell'ambito del keyword advertising la long tail è composta da combinazioni di keyword molto elaborate e dunque meno frequenti, ma che denotano un’utenza più evoluta nel processo di scelta e maggiormente orientata all’acquisto rispetto a chi cerca parole generiche e più frequenti. Non è dunque un caso che, secondo uno studio condotto nel 2006 da 360i e Searchignite su un campione di negozi online che facevano campagne di keyword advertising, il 19,2% delle conversioni sia stato stato generato proprio da keyword di long tail. Senza contare che le parole chiave ad alto potenziale di traffico, essendo più concorrenziali, costano di più e producono di conseguenza margini più esigui. Perché, dunque, rinunciare a questo traffico di qualità?
Se dovessi dare consigli a chi volesse implementare una strategia di long tali, direi essenzialmente tre cose: 1) non usate landing page generiche e cercate sempre di targetizzare il contenuto della pagina con la keyword e l’annuncio; gestite diversamente la coda e la "testa" (le parole più popolari), magari creando campagne separate; non fermatevi alle apparenze, la long tail non produce risultati immediati e le keyword che generano conversioni questo mese potrebbero non essere le stesse che convertiranno il mese prossimo.
Google valuta la qualità di un annuncio in base al suo CTR. Ci sono esperimenti di quality score basato su valutazioni date dall'utente?
Google usa un algoritmo per determinare il quality score, ma vi sono casi in cui l'intervento umano è necessario. Per questo esistono dei Quality Team specificatamente preposti a questo tipo di controlli. Non si tratta di esperimenti, ma di prassi e, dal mio punto di vista, non hanno alcuna controindicazione. Anzi, aiutano Google a garantire standard di un certo livello.
Interessante, nel suo libro, è l'analisi delle conversioni con l'utilizzo delle parole branded e non-branded. Quale è la sua opinione in merito?
Lo studio condotto da 360i e Searchignite cui facevo riferimento poc'anzi ha svelato altre informazioni molto interessanti. Su un totale di 3,9 milioni di utenti e 5,1 milioni di clic analizzati, il 25% delle conversioni è stato generato da utenti che hanno cliccato su più di un annuncio. Il tasso di conversione più alto (9,30%) si è verificato quando il primo e l’ultimo clic dell’utente sono avvenuti su termini branded. In caso di primo clic su keyword non-branded e ultimo clic su keyword branded il conversion rate è rimasto sostanzialmente uguale (8,73%). In sostanza, gli utenti che hanno terminato il loro processo di scelta e di acquisto con una ricerca branded hanno prodotto tassi di conversione sette volte maggiori rispetto a quelli che hanno usato solo parole chiave non-branded!
Di qui l'importanza di biddare su keyword branded, facendo però attenzione a: cosa fanno gli altri inserzionisti, come siete posizionati organicamente, cosa fanno i vostri siti affiliati e/o distributori. Se ci sono altri inserzionisti che biddano sui vostri brand (e sono autorizzati a farlo), il consiglio è di competere per queste keyword a prescindere da quale sia il vostro posizionamento organico. In questo modo aumenterete il vostro shelf space. Se siete posizionati al primo posto fra i risultati organici per il vostro brand e non ci sono inserzionisti nei paraggi, non c’è alcun ragionevole motivo per biddare sul vostro marchio. Se però ciò non accade, magari perché avete un brand molto generico oppure il vostro sito è stato lanciato da poco o, ancora, è stato penalizzato dai motori di ricerca, allora non c'è scelta: bisogna esserci.
Infine, l'impressione è che il keyword adv sia una strategia immediata, di breve periodo, mentre il SEO è di lunghi orizzonti temporali. Lei giudica corretto utilizzare il keyword advertising affiancato al SEO per "tappare temporaneamente quelle falle" che sfuggono al SEO, e poi lavorare come priorità sul SEO?
L'ultimo capitolo del mio libro, egregiamente curato da Federico Calore, sostiene che il keyword advertising e il SEO sono due strategie complementari e non alternative. Sono completamente d'accordo con Federico. In Italia soprattutto si finisce per identificare il search angine marketing col keyword advertising, relegando il SEO ad attività quasi di secondo piano nel marketing dei motori di ricerca. Assurdo. Oltre il 75% degli utenti preferisce cliccare sui risultati organici o comunque predilige le posizioni elevate della SERP. Senza contare che, rispetto al SEO, il keyword advertising presenta uno svantaggio evidente: il costo. Nonostante ciò, il keyword advertising presenta dei vantaggi innegabili quali l'elevata capacità di targetizzazione dell’audience, il perfetto tempismo della comunicazione, la flessibilità e il controllo nella pubblicazione degli annunci, l' ottimo rapporto qualità/prezzo.
Per quanto riguarda la strategia, concordo con quanto espresso nella sua domanda: il keyword advertising può sicuramente dare un boost iniziale alle attività di search engine marketing e successivamente rappresentare una forma di promozione legata ai risultati. Ma al keyword advertising va sicuramente affiancata un'attività di search engine optimization costante che miri a garantire e mantenere trust nel tempo.
Search Engine Marketing
I segreti del keyword advertising per fare pubblicità online
di Emiliano Carlucci
pp. 197
Editore Hoepli
Anno 2010
ISBN 978-88-203-4458-0
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18-6-2010
Contenuti concessi sotto Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Unported
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