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Se i mercati sono davvero conversazioni
Il web 2.0 lascia spazio ai nuovi player del mercato, i social media, e le aziende rispondono costruendo relazioni dirette con i consumatori. Per capire come, Eccellere intervista Luca De Felice, autore di “Marketing conversazionale”.
di
Elisa Scarcella
I social media sempre si fanno protagonisti del mercato, attraverso conversazioni tra consumatori, a cui le aziende non solo non possono rimanere estranee ma devono partecipare attivamente con strumenti e professionisti ad hoc, internamente ed esternamente alla propria struttura.
Per comprendere meglio queste dinamiche, Eccellere intervista Luca De Felice, Senior Consultant e Responsabile dell'offerta Web 2.0 di Live Reply, autore del volume “Marketing conversazionale”, edito dal Gruppo 24 Ore.
Il Suo libro invita le PMI ma anche i professionisti ad introdurre in modo semplice una forte innovazione tecnologica e culturale; a questo proposito, uno dei primi concetti che introduce al lettore è quello di Controllo, inteso come nuova leva di marketing, nelle mani non delle aziende ma, per la prima volta, degli utenti/clienti/consumatori. Le aziende stanno rispondendo con l'attivazione di staff di professionisti e strumenti ad hoc. Quanto a lungo dunque pensa possa davvero rimanere questo controllo nelle mani degli utenti?
Il cliente sta progressivamente trasformandosi in utente e sta acquisendo piena visibilità delle variabili in gioco e dei rapporti di trade-off tra prezzo e qualità del prodotto, avendo dissipato la tradizionale asimmetria informativa fra le controparti. Cambia quindi la relazione tra il nuovo protagonista del mercato e l’azienda e si generano due importanti trend: da un lato gli utenti, avendo una maggiore capacità di reperire informazioni, riescono più facilmente a individuare prodotti di nicchia che possano soddisfare appieno le loro esigenze; dall’altro lato vengono alla luce nuovi modelli di business, come i modelli freemium, l’economia del “baratto digitale” e la valorizzazione della reputazione online. La leva di marketing in oggetto deve spontaneamente nascere dalla corretta interpretazione dei nuovi trend in atto e quindi dal sempre maggior Controllo degli utenti. L’obiettivo è quello di assecondare tale controllo e attuare una serie di azioni specifiche a vantaggio dell’azienda, dalla rivisitazione delle tradizionali strategie di pricing e di cost saving online, all’introduzione di asset di social CRM (profilazione) e di specifici algoritmi (motori di highlight e recommendation) volti alla valorizzazione dello scambio di informazioni sociali tra utenti.
Un altro concetto chiave a cui fa riferimento è la Creatività. Per l'enterprise 2.0 che significato e ruolo assume oggi questa leva di marketing?
La realizzazione del Prodotto necessita di Creatività, ispirata da una nuova generazione di utenti che opera all’interno e all’esterno dell’azienda. È l’intera organizzazione e non solo il marketing a gestire i molteplici punti di contatto tra dipendenti, clienti e prospect e a definire il livello di permeabilità della membrana, sempre più sottile, che circoscrive i confini aziendali. In tal senso i progetti di open innovation tentano di generare conversazioni libere intorno a filoni argomentativi come in un vero e proprio brainstorming. L’obiettivo è far leva sui contenuti generati dagli utenti e sugli effetti di rete che essi implicano, abilitando l’intelligenza collettiva della community e stimolandone la creatività.
Con il marketing conversazionale appare evidente che mondo business e consumer dal punto di vista comunicativo hanno confini sempre più labili, tanto che, nel libro, Lei parla di “livello di permeabilità della membrana sempre più sottile che circoscrive i confini aziendali”. Può spiegarci cosa intende?
Il fenomeno Web 2.0 sta progressivamente lasciando il posto a una nuova versione di Internet, in cui si muovono player come Twitter, Facebook e FriendFeed, il Real-Time Web, differente da quella dei blog e dei tradizionali social network, e tutta basata su un modulo conversazionale svolto in tempo reale. I paradigmi culturali e sociali che ne scaturiscono costituiscono i nuovi modi di comunicare, tra le singole persone dell’azienda e i clienti. Il marketing conversazionale assume dei risvolti importanti nell’ambito del Real-Time Web perché quest’ultimo non ammette errori o ritardi: se si è deciso di esserci e di mettersi in gioco bisogna seguire le conversazioni, prepararsi a essere chiamati in causa, rispondere alle domande, replicare e spiegare, il tutto in presa diretta. I punti di contatto tra l’azienda e gli utenti possono essere variegati e afferire a diversi dipartimenti e responsabilità. Sui social media sono le persone, e non i brand, a esprimere passione e a coinvolgere l’utente, costruendo quotidianamente la reputazione dell’azienda. Tali persone, nel rispetto di regole condivise a priori, devono essere libere di interagire con la Rete.
Un'altra sfida importante, per le aziende 2.0, è la revisione profonda dei paradigmi aziendali, sia internamente che esternamente, attraverso i nuovi sistemi informativi del web. Quali pensa, in questo momento, siano i più efficaci?
I social media sono in grado di alimentare una circolazione dell’informazione molto efficace per il business. Individuare rapidamente quale collega può fornire un aiuto per la risoluzione di un problema può rivelarsi particolarmente utile (expertise location); essere aggiornati sulle scelte strategiche delineate dalla direzione aumenta il coinvolgimento e il senso di appartenenza all’azienda (blog). Inoltre servizi quali l’instant messaging, il wiki, il file sharing o il Q&A permettono di scambiarsi velocemente pareri e osservazioni sulle attività lavorative, limitando i tempi necessari per accedere alle informazioni o individuare documenti importanti. Esternamente, questi strumenti assumono elevato valore nella gestione della relazione con clienti e prospect. La possibilità di esprimere liberamente la propria opinione incoraggia la nascita di relazioni e discussioni su tematiche rilevanti. In tal senso i blog e i sistemi di social networking e open innovation permettono di condividere il know-how aziendale con la community e trarre da questa spunti e idee.
Oltre alla tecnologia, un'attenzione particolare si coglie nelle sue pagine al ruolo della persona, al capitale umano. Anche in questo caso, una sfida complessa, da perseguire su più fronti...
In molti settori come quello della consulenza, in cui attualmente opero, il capitale umano è il principale asset. E chi in azienda lo gestisce dovrebbe continuamente stimolare la partecipazione, il coinvolgimento, la passione di ciascuno verso la propria attività. In questo scenario i social media rappresentano solo un mezzo in grado di diffondere e di trasmettere tale passione soprattutto nei confronti dei clienti.
Il mondo consumer fa da tester e quello business ne studia i risultati a proprio vantaggio, tanto da poter parlare di “consumerizzazione”. Un fenomeno inarrestabile, che parte dalle singole persone e poi deve estendersi alle aziende.
La consumerizzazione delle imprese in ambito IT consiste nell’introduzione delle tecnologie utilizzate da un’utenza consumer all’interno delle aziende. Con la consumerizzazione dei servizi sono le singole persone e il ricambio generazionale a decidere spontaneamente come implementare la struttura informativa dell’azienda con nuove tecnologie e linguaggi: si pensi al servizio di Google per il mailing, Gmail: diffuso all’inizio in versione beta come strumento per utenza consumer, dopo aver raggiunto un successo straordinario e un livello di penetrazione inatteso, lo stesso prodotto è stato inglobato nel pacchetto di servizi per aziende Google Apps.
Avevamo la generazione X, poi Y (i digital native) e ora C, nata con il web, che diffonde contenuti. Quali crede siano i vantaggi che la generazione C avrà e quali i risultati che potrà conseguire rispetto alle generazioni precedenti?
Il marketing conversazionale apre definitivamente il cammino verso la prima vera generazione digitale, quella che nel prossimo decennio entrerà nel mondo del lavoro. Se la Generazione Y è costituita dai digital native, ovvero coloro che sono nati con le tecnologie digitali, all’orizzonte si sta affacciando una nuova generazione, la “C”, che è nata con il web e che diffonde Contenuti (da cui la lettera C) tramite supporti multicanale, flessibili e convergenti. Una generazione che avrà del tutto fatto proprio il rapporto con le tecnologie digitali, e che disporrà di mezzi e contenuti in grado di soddisfare qualsiasi esigenza. I suoi principi saranno il valore della Community, la necessità di Controllo, il potenziale della Creatività e l’importanza delle Conversazioni. Interpretarne correttamente i bisogni vuol dire allinearsi ai suoi principi.
Oggi sempre più appaiono chiare le potenzialità del digital store. Perché ancora molte aziende, a Suo parere, non sono in grado di svilupparne propri? E qual'è la situazione nel mercato italiano?
La Community sta diventando sempre di più il nuovo placement di distribuzione dove nascono e si consumano i più importanti momenti della user experience dell’acquirente. In questo contesto i digital store, che stanno assumendo sempre di più le caratteristiche tipiche delle community (e.g. possibilità di votare e commentare i singoli prodotti), interpretano una nuova dimensione di acquisto, quella del social shopping. Purtroppo molte aziende non hanno ancora intravisto le potenzialità date dalla raccolta di questa nuova tipologia di informazioni o, per lo meno, non le giudicano di valore rispetto all’investimento necessario per la realizzazione di un proprio digital store. Spesso infatti questi spazi online vengono visti come semplici siti di e-commerce, trascurando tutta una serie di moduli funzionali che li contraddistinguono, come i motori di profilazione, clustering e recommendation. Fortunatamente il mercato italiano sta progressivamente crescendo, spinto in particolare dal fermento dei mobile application store, dal settore dell’e-fashion e dai processi di cambiamento in atto nel mondo dell’editoria digitale. In particolare nel nostro Paese intravedo grandi opportunità per il settore del design arredo e materiali.
Nel volume afferma che oggi il marketing non può essere solo in grado di servire il cliente in maniera reattiva rispetto alle sue necessità, ma deve adottare un approccio proattivo capace di creare bisogni indotti. Da dove nasce questa considerazione?
Le classiche leve di marketing vengono identificate con gli strumenti tramite i quali soddisfare il cliente nel modo più economico possibile. Spesso il “cosa” (il prodotto, il servizio o l’esperienza) viene visto come secondario e l’obiettivo principale di tali attività rimane solamente quello di servire il cliente in maniera reattiva rispetto alle sue necessità. È solo questo il marketing? Soddisfare i bisogni necessari? Non credo. Ritengo invece che la visione di focus reattivo rispetto ai bisogni del cliente vada arricchita con un approccio proattivo capace di creare bisogni indotti. In mercati ormai saturi ma in piena evoluzione, i clienti non hanno esigenze ma sogni. Steve Jobs, CEO di Apple, qualche tempo fa diceva: “Non si può chiedere ai clienti ciò che desiderano e poi provare a darglielo, perché appena l’avrai realizzato, loro vorranno qualcosa di nuovo…”.
Marketing Conversazionale
Dialogare con i clienti attraverso i Social Media e il Real-Time Web di Twitter, FriendFeed e Facebook
di Luca De Felice
pp. 178
Editore Il Sole 24 Ore Libri
Anno 2010
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7-7-2010
Contenuti concessi sotto Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Unported
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Luigi
| 3-8-2010 11:30 Direi interessate le risposte che ho letto, ma secondo il mio punto di vista esiste ancora una fetta della generazione futura che conserva l’attenzione alle cose semplici e meno elaborate. Insomma non possiamo pensare che tutto oggi sia web e attraverso di esso si muova il mondo. La mia visione della generazione "C" che ci aiuterà a semplificare le cose nel mondo dell’informazione sotto ogni profilo.
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