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L'evoluzione della televisione tradizionale nell’era del multichannel e del digitale
Il dibattito sul futuro della televisione acceso dall'introduzione della tv digitale e della più recente TV over IP. Come si muovono i principali player italiani, come investono le imprese del settore, come viene gestito il legame tra palinsesto, target di riferimento e budget pubblicitario.
di
Stefano Russo
Sono passati quasi 15 anni dalle prime offerte di tv a pagamento in Italia: prima Telepiù e Stream, quindi Sky, poi ancora Fastweb, quindi Rosso Alice, Wind e Tiscali con le offerte di televisione su rete ip. Infine la trasmissione del segnale in digitale terrestre. La diffusione di queste piattaforme ha acceso il dibattito sul futuro della televisione ma, ad oggi, è ancora l’offerta generalista e gratuita quella che raccoglie più spettatori e più investimenti pubblicitari.
Per tv generalista intendiamo l’emittenza via etere di canali televisivi visibili gratuitamente: in Italia a livello nazionale operano tre players Rai, Mediaset e Telecom Italia. I primi due gruppi raccolgono circa il 90% delle risorse di questo comparto (pubblico ed investimenti pubblicitari); Telecom tiene da anni un piede nel mondo televisivo con molta discrezione è una linea editoriale molto definita.
La tv generalista ragiona secondo un meccanismo semplice: investe dei soldi per costruire un palinsesto, allestisce una rete di trasmissione e vende agli inserzionisti degli spazi pubblicitari. L’organizzazione del palinsesto è sottostante a questo modello di business. Si sceglie un programma in base a delle caratteristiche (durata,costo, target di riferimento) e si piazza su una rete ad un certo orario. La scelta della collocazione dipende da ciò che la rete si attende in termini di ascolti e quindi di teste da offrire agli inserzionisti. Ora il problema è che questo meccanismo non funziona più in modo brillante come qualche anno fa; raggiungere certi picchi d’ascolto è più difficile e gli investimenti crescono pochissimo, anche perchè negli ultimi 5 anni le opportunità per gli inserzionisti, e per il pubblico, si sono diversificate con la crescita di mezzi alternativi.
Alcune stime parlano di circa 3 milioni di spettatori in meno per la tv generalista rispetto a qualche anno fa nelle fasce orarie più importanti. Non è solo il numero ad essere rilevante: bisogna considerare che le famiglie che si abbonano a Sky sono tendenzialmente benestanti e con buon potere d’acquisto, mentre a scegliere forme di intrattenimento nuove (soprattutto internet) sono i più giovani; in sostanza i canali tradizionali hanno cominciato a perdere ascoltatori, ma soprattutto stanno perdendo il pubblico più attraente per gli inserzionisti.
Già da qualche anno la risposta dei broadcaster è andata verso un forte contenimento dei costi ed una rimodulazione dei generi ed ultimamente un approccio sempre più proattivo al web (rai.tv, mediaset rivideo o Mitele sempre di Mediaset in Spagna meritano un approfondimento a parte). Gli effetti più evidenti si manifestano nell’offerta di cinema, sport, fiction, e reality show. I primi due fino a qualche anno fa erano i pezzi forti della tv generalista.
Negli ultimi 5 anni Rai e Mediaset hanno tagliato molte ore di programmazione di film, e hanno diminuito la presenza dello sport che si è spostato sulle reti minori; sono cresciute invece le ore di fiction, in particolare quella italiana che ha dei costi inferiori, e naturalmente i reality. Gli uomini dei palinsesti spiegano che sta avvenendo un passaggio da programmi ad utilità immediata, come calcio e film, a programmi ad utilità ripetuta che costano di meno e fidelizzano il pubblico, come fiction e reality appunto. Questo processo dipende dalla necessità di riposizionarsi nel nuovo scenario; l’obiettivo è quello di rallentare l’inevitabile erosione degli ascolti ma, visto che la concorrenza per i contenuti premium è diventata insostenibile (vedi l’investimento per i mondiali di calcio in Germania sostenuto da sky) o non più redditizia (è il caso del cinema) l’unica strada percorribile è quella del contenimento dei costi di allestimento dei palinsesti. Queste scelte strategiche (come quelle relative al web) ricalcano quelle fatte in paesi più evoluti dal punto di vista del mercato televisivo come UK e USA. Oltre oceano dove le offerte multicanale sono molto ricche da anni, i primi 4 network raggiungono ancora il 50-60% della share e questo grazie a qualche reality, molta fiction e tanti format.
Tutte le innovazioni nella storia dei media non fanno altro che rimodulare le caratteristiche e i linguaggi di quelli vecchi. E’ già successo nel rapporto tra radio e giornali, tra tv e radio, tra cinema e tv e sta accadendo oggi con internet. Allo stesso modo il passaggio ad una fruizione televisiva più evoluta porterà la televisione tradizionale a riposizionarsi e rinnovarsi.
Quello che sta succedendo in Italia non presenta peculiarità a livello europeo e mondiale se non nella portata del cambiamento: partendo da una situazione di duopolio questa lenta apertura sembra un terremoto. La fase che stiamo attraversando porterà ad una tv comunque più diversificata che garantirà al pubblico di massa una programmazione semplice e popolare, ma allo stesso tempo, grazie alla diffusione delle nuove piattaforme e, se ben governata, aumenterà le possibilità di scelta per i pubblici più sofisticati e abbassando le barriere di ingresso per i nuovi editori.
10-10-2008
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